Biggeri (Etica SGR): “La finanza SRI cresce oltre la crisi, ma attenzione all’eccessiva burocratizzazione”

Ugo Biggeri
Ugo Biggeri, foto ceduta (Etica SGR)

Il settore degli investimenti sostenibili è spinto da più forze motrici. Da un lato la normativa, in particolare quella in sede europea, che ne sta definendo con chiarezza contorni e obiettivi (con potenziali rischi intrinsechi). Dall’altro gli investitori, specie quanti rientrano nella categoria retail. Erede di due anni di slancio, la finanza sostenibile, come tutto l’universo finanziario nel suo complesso, assiste nel 2022 a un rallentamento in termini di performance e di raccolta, e al presentarsi (in alcuni casi) di voci critiche. Si è parlato di “attacchi agli ESG” o all’emergere di un’iniziale diffidenza verso l’industria. Non per tutti.  “Chi già aveva le tematiche ESG nel proprio DNA, come noi ad esempio, non subisce diffidenza. Piuttosto si riscontra l’emergere di alcune contraddizioni”. Ugo Biggeri, presidente di Etica SGR non ha dubbi in proposito: “Gli ultimi anni hanno fatto emergere diverse criticità. Un passaggio importante è legato alla decisione di inserire gas e nucleare nella Tassonomia europea sulle attività sostenibili. Questo ha minato un po’ la reputazione della normativa UE (anche in seno agli stessi organismi comunitari)”. Quello che per Biggeri è un “passo falso” è giustificato anche da una considerazione a latere: “La Tassonomia UE definisce i prodotti della finanza sostenibile, e non cosa si può investire o non investire in generale. Quindi, se nucleare e gas sono elementi fondamentali alla transizione, troveranno le risorse sul mercato”. Ma non è tanto la scelta di inserire attività non identificabili come “green” nel dettato normativo a far segnare il passo di un’evoluzione sostenibile che è andata concretizzandosi negli ultimi anni, quanto il rischio intrinseco all’impianto normativo stesso: “Il tema, a oggi, è la non chiarezza o la eccessiva burocratizzazione nella definizione dei criteri di sostenibilità”. Quindi non è il mercato a soffrire, anzi, Biggeri lo vede in crescita su entrambi i fronti, retail e istituzionale. “La spinta maggiore al tema degli investimenti sostenibili arriva dal retail, in particolare dalle nuove generazioni di investitori”, afferma il presidente, che individua una criticità legata alla richiesta degli investitori “più consapevoli” di maggiore chiarezza sui prodotti e sulle stesse società finanziarie “non basta soltanto fare un buon fondo articolo 9 (SFDR .ndr)”. Nel bilancio complessivo, afferma l’esperto, “se vogliamo che la finanza aiuti nel passaggio verso la sostenibilità l’obiettivo deve essere quello di disincentivare l’investimento in settori dannosi. Non si può pensare che in un portafoglio ci sia un solo titolo perfetto dal punto di vista della finanza sostenibile: bisogna puntare a fare massa”.

Oltre 20 anni di finanza etica in Italia

Sul fronte dell’evoluzione della finanza sostenibile in Europa (e più nel dettaglio, in Italia) Etica SGR è testimone attiva di questo processo, con 22 anni di attività alle spalle e l’avvio dei primi fondi quando ancora “si confondeva l’investimento sostenibile con la beneficenza”. Oggi non si cade più in questo errore: “La dignità della finanza sostenibile, la sua efficacia e bontà dal punto di vista dei parametri finanziari è universalmente riconosciuta”, afferma Biggeri. A questo si somma un'altra mutazione: quella del perimetro del mercato che si è allargato, con l’emergere di numerosi competitor soprattutto a partire dal 2015. “L’aumento della competitività nel settore è stato un elemento che ci ha messi in discussione, ci ha stimolati, ma non è l’unica sfida”. Tra le prove citate da Biggeri rientra anche quella dei dati: “Un nodo centrale per l’industria della finanza sostenibile è la graduale scomparsa dei database ESG indipendenti dai grandi provider. Questo significa che sarà necessario (in futuro ancor di più, ma l’esigenza si sente già oggi) attrezzarsi per avere un proprio metro di giudizio o, comunque, una capacità di lettura di questi database. Non è così remoto, infatti, il rischio di un allineamento, non tanto nel numero degli indicatori quanto su ‘chi decide’ qual è il valore dell’indicatore”.

La maggiore sfida, in ogni caso, resta comunque la normativa. Da uno sguardo futuro al settore, infatti, emerge come il tema centrale resterà quello dei cambiamenti climatici. Tuttavia, un eccesso di norme per definire “cosa sia sostenibile” rischia di generare un “orrore burocratico”. “Gli operatori del settore SRI sono sommersi di vincoli legati a tassonomia, comunicazione e indicatori proposti, quando invece se si vogliono lanciare fondi che continuano a investire nell’estrazione mineraria, nel petrolio o negli armamenti lo si fa senza troppi vincoli”, rimarca Biggeri. “Se si vuole operare un vero cambio, è necessario agire sul fronte opposto, disincentivando le produzioni brown. La nascita della finanza sostenibile, d’altronde – conclude –, è un atto politico, e anche su questo fronte si può agire politicamente e non attendendo i risultati di un sistema che si regolamenti da solo”.