L'economia cinese sta affrontando sfide strutturali e congiunturali importanti. Da un lato, la crisi del settore immobiliare, con gli ultimi dati dell'Ufficio Nazionale di Statistica della Cina (NBS) che parlano di un calo del 9,3% su base annua degli investimenti nei primi dieci mesi del 2023, a cui si si aggiunge l'invecchiamento demografico e la transizione da un’economia basata sull'esportazione e investimenti a una più orientata al consumo interno e all'innovazione. Dall’altro, i rischi legati alla politica interna, come il rigido controllo governativo su settori chiave e le tensioni geopolitiche, in particolare con Taiwan. Una serie di fattori che influenzano inevitabilmente il mercato obbligazionario del Dragone, poiché alterano le aspettative di crescita economica, influenzano la politica monetaria e fiscale, e modificano il rischio percepito dagli investitori, che a loro volta determinano i rendimenti e l'appetibilità dei bond cinesi a livello globale. È ancora possibile, dunque, trovare valore in questa asset class? E qual è il ruolo del debito cinese nei portafogli degli investitori italiani? Attorno a queste domande è ruotata l’ottava tavola rotonda dei FundsPeople Talks con focus sul fixed income.
Bond cinesi sì, ma con prudenza
Come ricorda Cary Yeung, head of Greater China debt di Pictet AM, “il mercato obbligazionario cinese è cambiato molto negli ultimi anni; ha superato il Giappone, diventando il secondo mercato obbligazionario più grande al mondo con una capitalizzazione di circa 19 mila miliardi di dollari, e il renminbi è stato incluso nel paniere SDR del FMI”. In termini di accessibilità da parte degli investitori stranieri, l’esperto sottolinea l’enorme miglioramento della liquidità, della trasparenza, della convertibilità e del riconoscimento del renminbi come valuta globale. “Attualmente - prosegue Yeung - in termini assoluti, i rendimenti dei titoli di Stato cinesi possono essere relativamente inferiori rispetto ai Paesi sviluppati. Ad esempio, il PIL decennale della Cina è del 2,75%. Ma se si aggiunge un premio di copertura in euro o dollari Usa, per via del differenziale dei tassi di interesse si può ottenere un 2% sul rendimento dei titoli di Stato cinesi”.
Rispetto all’obiettivo di neutralizzare le emissioni di carbonio entro il 2060, il responsabile ritiene che “gli investimenti in green bond supporteranno questa transizione, anche perché si stima che ci vorranno tra i 5 e i 10 mila miliardi di dollari Usa per passare alle energie rinnovabili”. E ricorda: “Sempre più fornitori di servizi stanno creando team basati in Cina per analizzare il mercato obbligazionario locale dal punto di vista ESG e soddisfare così la domanda degli investitori. Ciò è dovuto alla crescente attenzione del governo cinese sull'ambiente e alla sua volontà di diventare un leader mondiale nell'energia verde”, commenta Yeung.
1/4“Molti prevedevano che la Cina avrebbe mostrato una ripresa parallela a quella delle economie avanzate post lockdown. Tuttavia, l'espansione economica ha deluso le previsioni, principalmente a causa della crisi immobiliare che ha colpito il Paese”, afferma Paolo Biamino, head of Client Advisory di CheBanca!. Nonostante questo, l’esperto ritiene che la Cina stia gestendo la situazione meglio di altre nazioni e che il suo governo sia alle prese con una non semplice ristrutturazione economica. “Esistono aspetti positivi che sostengono le asset class cinesi, come la ripresa economica in corso e le valutazioni allettanti. Al contempo, elementi come la demografia, la situazione geopolitica e reshoring possono dissuadere gli investitori. Un altro elemento di riflessione è la percezione degli investitori esteri, che sembra essere condizionata dalle tensioni sino-americane”, sottolinea. Secondo Biamino, le obbligazioni denominate in renminbi “rappresentano un’ottima diversificazione per il portafoglio, sia nella versione coperta (hedged) che non coperta (unhedged). La ragione - continua - sta nel fatto che tali obbligazioni offrono una qualità elevata, spesso superiore a quella dei bond in dollari, e che i cicli di politica monetaria globali non sono strettamente correlati”. Il professionista ricorda che al momento è vantaggioso avere un portafoglio globale ben diversificato e condivide l'opinione che il renminbi “è ora sostenuto dal governo a un livello che non vuole vedere un ulteriore deprezzamento, e ciò porta con sé vari fattori a suo vantaggio”.
2/4Sull’incertezza della situazione economica cinese interviene Corrado Ciavattini, responsabile dell’Area Multi Manager di Ersel AM SGR. “La fiducia delle imprese e dei consumatori è molto bassa e si nota, inoltre, un incremento dell'autoritarismo da parte delle istituzioni politiche che le rende in qualche modo più imprevedibili”, commenta l’esperto. Il riferimento è alle misure intraprese contro il settore tecnologico, immobiliare e dell’istruzione, che hanno aumentato la volatilità in un contesto già difficile. In questo scenario, per Ciavattini, la questione fondamentale è determinare quanta della debolezza attuale sia di natura ciclica e quanta strutturale. “Noi tendiamo a credere che vi siano profondi elementi strutturali: la Cina ha sovra investito nel settore immobiliare per 20 anni, dando ora inizio a un processo di deleveraging simile a quanto visto in Giappone negli anni '90”. Riguardo al peso del debito cinese nei portafogli della società, il responsabile commenta: “Abbiamo investito tra il 2020 e il 2022, sfruttando il differenziale di rendimento rispetto all'Europa e agli Usa, che era significativo. Questo investimento si è rivelato molto redditizio nel 2022. Ora, con il cambiamento della situazione economica in Cina e il ridimensionamento del differenziale di rendimento, siamo diventati più cauti rispetto al passato”.
Nel processo di investimento e selezione, sono diversi gli aspetti su cui Ersel presta maggiore attenzione, in particolare riguardo alla Cina e ai titoli di debito dei mercati emergenti: “La gestione del rischio e della liquidità sono cruciali. Un altro aspetto sotto esame sono i fattori e i rischi ESG. Ci sono prove empiriche, anche specifiche sulla Cina, che suggeriscono che focalizzarsi sui tali rischi possa generare rendimenti superiori rispetto ad approcci tradizionali”, afferma. Ma le sfide sono molte. “Il punteggio ESG medio delle aziende cinesi è inferiore rispetto a quelle europee, americane o di altri mercati emergenti. Non possiamo essere passivi, altrimenti ci ritroveremmo con punteggi ESG molto bassi. E non possiamo fare affidamento solo sui classici fornitori di rating ESG perché la loro copertura è limitata e la qualità delle informazioni spesso è bassa”, dice. Avere un team dedicato, preferibilmente con una presenza locale, che possa acquisire informazioni in modi diversi e interagire direttamente con gli emittenti diventa pertanto fondamentale.
3/4Una posizione di neutralità sulla Cina è quella mantenuta da Fideuram AM SGR. “Dopo una prima parte dell’anno molto positiva si è registrata un’importante decelerazione. Le autorità cinesi hanno adottato importanti misure nel settore immobiliare per sorreggere la domanda e stabilizzare il settore. Tuttavia, nonostante le valutazioni positive, il sentiment degli investitori verso la Cina rimane negativo”, commenta Cristian Grigatti, head of Portfolio Management Multi Manager della SGR. Gli asset cinesi rappresentano un importante elemento di diversificazione e stabilizzazione dei portafogli di Fideuram. “Procediamo con la solita due diligence, analizzando le performance passate, condizione necessaria, ancorché non sufficiente, per avere buoni rendimenti anche nel futuro”. Nel selezionare un gestore sui mercati emergenti, per l’esperto è essenziale che questi sia “fisicamente vicino a quel mercato e che ne abbia una conoscenza approfondita”. È altrettanto importante che il professionista possa “garantire un’ottima velocità di reazione/risposta in caso di richieste di approfondimenti e analisi di portafoglio nonché nel caso in cui vengano richiesti update su possibili sviluppi relativi al mercato seguito”, conclude.
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