Lo spread a 10 anni si muove a livelli simili a quelli della crisi del debito del 2012. Ma cosa sta cercando di dirci il mercato?
Non sono solo gli investitori ad avere gli occhi puntati sul mercato. "Ogni mattina, prima di chiamare i miei figli, controllo lo spread", ha detto il Ministro dell’Interno, Matteo Salvini, in occasione dello European House Ambrosetti Forum tenutosi lo scorso fine settimana. Dalle elezioni di marzo, i rendimenti delle obbligazioni italiane sono aumentati fortemente a causa del timore di un governo di coalizione populista. Ma ciò che preoccupa maggiormente è il fatto che lo spread si sia esteso ai livelli della crisi del debito del 2012.
Tradizionalmente, il debito italiano rappresenta un indicatore di paura per i Paesi periferici in Europa, nonché un termometro dell'economia. Ma quali segnali ci sta inviando il mercato?
Secondo Pilar Arroyo, investment specialist di M&G Investments, tre sono i fattori da considerare: da un lato, il fatto che l'Italia abbia il secondo maggior ratio d’Europa tra debito e PIL, del 132%, secondo solo alla Grecia. Dall'altro, la mancanza di un accordo per presentare il budget (scadenza al 15 ottobre 2018). Per ultimo, il fatto che il Belpaese accumuli anni di crescita debole, e quindi particolarmente difficile da confrontare con il recupero dei suoi vicini.
Per quanto riguarda l'eventuale contagio, al momento, l'esperta non vede segnali di panico nell'euro. Sembra inoltre che non vi sia alcuna correlazione negli indici obbligazionari europei.
Dunque, chi sta realmente vendendo obbligazioni italiane? Da DWS danno una risposta: il debito pubblico italiano finanziato con obbligazioni è aumentato da 1,18 a 1,9 trilioni di euro. Di questo aumento, le Banche centrali hanno acquisito 314 miliardi, mentre le istituzioni finanziarie nazionali 417 miliardi. Gli investitori stranieri hanno aggiunto ulteriori 373 miliardi. Altri investitori italiani, inclusi individui e società, hanno ridotto le loro partecipazioni a 289 miliardi.
"Sembra che i risparmiatori italiani, e non gli investitori stranieri, siano quelli che non si fidino del proprio Stato. Probabilmente hanno delle buone ragioni per farlo, e che queste non siano legate esclusivamente alla politica. Pensiamo alla diversificazione del rischio, ad esempio", commentano dall’asset manager tedesco.