Cosa c’è nei portafogli degli investitori istituzionali?

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heverton nascimento, unsplash

È giunta alla 17esima edizione la “Mercer European Asset Allocation Survey”, l’indagine condotta ogni anno da Mercer per analizzare le tendenze di asset allocation dei grandi investitori istituzionali in tutta Europa. Quest’anno sono stati coinvolti ben 876 portafogli europei, rappresentativi di 12 Paesi, per un totale di oltre 1.000 miliardi di euro di attività. L’Italia ha raggiunto un peso dell’8% del campione grazie alla partecipazione all’indagine di casse di previdenza (con un peso pari al 23%), fondi pensione (sia negoziali che pre-esistenti, con un peso pari al 67% del campione) e fondazioni di origine bancaria (con un peso pari al 10%).

È interessante vedere su cosa si stanno orientando gli investitori istituzionali del Belpaese, come è cambiata la loro asset allocation nel tempo e come sono posizionati rispetto all’Europa.

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Fonte: Mercer European Asset Allocation Survey 2019.

L’esposizione azionaria del campione italiano totale è esattamente allineata a quella europea, attestandosi al 25%, in diminuzione rispetto al peso dello scorso anno. Solo il 50% del campione è convinto delle prospettive di crescita per il mercato azionario (almeno per il 2019). È proseguito lo spostamento verso mandati azionari gestiti passivamente (Beta), con la percentuale media di partecipazione azionaria passiva dei piani in aumento medio al 55% nel 2019, contro il 53% del 2018. “Il trend della gestione passiva ha come driver principali il tema delle pressioni al ribasso sulle fee ed i costi, e riteniamo plausibile possa continuare nel prossimo futuro”, commenta Luca De Biasi, Wealth Business leader di Mercer Italia, “Notiamo invece che il budget di rischio e le scelte di gestione attiva si avviano ad essere destinati alle aree maggiormente inefficienti dal punto di vista dei mercati finanziari, dove chiaramente un’alternativa passiva è non percorribile o non raccomandata. In tale senso la gestione attiva è utilizzata nell’ambito delle strategie a ritorno assoluto, degli investimenti alternativi, dei Paesi emergenti o nel factor-investing quali low volatility value, momentum e così via”, aggiunge.

Più bassa rispetto alla media europea è invece l’esposizione obbligazionaria italiana (37% vs 53%). Le componenti obbligazionarie non tradizionali e/o a crescita, come le strategie absolute return bond e le obbligazioni high yield, rientrano nella componente Alternatives, che, nel caso dell’Italia, è più importante rispetto alla media europea (24% vs. 16%).  Pertanto emerge una minore esposizione ad eventuali shock di tasso. Invece con un 9%, l’esposizione immobiliare italiana si conferma come da tradizione più alta della media europea (3%) ma inferiore a Svizzera (28%), Germania (14%) e Norvegia (12%.), ciò viene giustificato anche dalla questione della privatizzazione delle Casse di previdenza.

Gli Investitori Istituzionali italiani considerano il mercato del credito ancora interessante: il 73% del campione considera il credito societario un’interessante alternativa al mercato azionario. La stessa percentuale è positiva sugli emergenti, in particolare sull’azionario. Con riferimento al dato menzionato sugli investimenti alternativi, è interessante rilevare come il mercato italiano si dica pronto a muoversi alla ricerca di opportunità nei private markets: il 64% del campione punta sui risk premia dei private, guardando sia al private equity che al private debt.

Conservativo risulta invece l’approccio nei confronti degli Hedge Funds, con il 91% del campione italiano che non intende aumentare l’esposizione sugli hedge funds, neanche in forma liquid alternatives. Gli investitori europei d’altro canto hanno invece scelto di aumentare le allocazioni in real asset (+ 4%) e in hedge fund (+ 6%) con obiettivi sia di diversificazione che di massimizzazione dei ritorni attesi. Infine, una menzione rispetto alla protezione dal rischio di coda, che non sembra spaventare gli istituzionali italiani: il 73% del campione non sta valutando di adottare misure di tail risk hedging.

Approccio ESG

Un altro aspetto che è emerso dall’indigine è il maggior interesse da parte degli investitori istituzionali italiani nei confronti dei fattori ESG nei loro processi di investimento. L’85% del campione italiano dichiara di considerare i temi ESG nell’attività di investimento. Questo dato, in significativa crescita rispetto all’edizione precedente è superiore a quello medio europeo, che si ferma al 55% (i dati 2018 si attestavano su valori meno importanti, pari al 56% e 40% rispettivamente).

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Fonte: Mercer European Asset Allocation Survey 2019.

In Italia l’elemento principale che spinge gli investitori ad attuare un approccio ESG è la paura di rischi reputazionali (55% Vs. 29% della media europea). “L’attenzione agli impatti di portafoglio dei fattori ESG è uno sviluppo positivo per il mercato. Notiamo poi un rinvigorito focus anche dal punto di vista della stewardship (gestione aziendale) con circa il 27% dei rispondenti alla survey che prendono in considerazione il proxy voting e le attività di engagement quando selezionano gestori di investimento. Un dato ancora maggiore per l’Italia, dove è pari a circa il 38%. Opportunità nel mondo degli investimenti sostenibili sono accessibili anche o principalmente attraverso i mercati privati (private equity, infrastrutture), che consentono di finanziare società non quotate e progetti in grado di apportare reali benefici nella direzione di un’economia sostenibile e a basse emissioni”, commenta Luca De Biasi.

Marco Valerio Morelli, amministratore delegato di Mercer Italia conclude dicendo che l’indagine ha rilevato un approccio di investimento più sofisticato e diversificato da parte degli investitori istituzionali italiani. “Questo richiede di conseguenza un monitoraggio più strutturato rispetto al passato, guidato da processi di delibera. Questo cambiamento nell’asset allocation di fondi pensione, casse di previdenza e fondazioni richiederà presto operazioni di aggregazione, come suggerito negli ultimi anni da Covip, per aumentare il potere negoziale di ciascuna entità, oggi ancora troppo basso”, ha commentato Morelli. “Un altro aspetto fondamentale che si è rilevato è il maggior numero di investimenti a sostegno dell’economia reale, coerenti con il loro profilo di rischio rendimento, tuttavia ancora inferiori rispetto all’Europa”.