De Berranger (LFDE), azionario: "Valutazioni non ancora molto attraenti, ma a livelli interessanti"

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Olivier de Berranger, immagine concessa (LFDE)

Recessione. Questa la principale preoccupazione degli investitori in vista del 2023. “Se nel 2022 i temi dominanti sono stati l’inflazione e il rialzo dei tassi, il prossimo anno saranno la recessione e la pressione sugli utili aziendali a dominare lo scenario”, avverte Olivier de Berranger, Chief Investment Officer di La Financière de l'Echiquier durante un recente incontro con la stampa a Parigi. In Europa il quadro economico appare più complesso che negli Stati Uniti. Nel Vecchio Continente la fiducia dei consumatori è in calo così come l’indice Pmi del manifatturiero, in discesa ben al di sotto della soglia di 50, che divide l'espansione dell'economia dalla contrazione. Ma secondo l’esperto di LFDE il contesto è difficile, ma non drammatico: “La buona notizia è che non stiamo parlando dell’arrivo di una fase di depressione economica. Lo scenario non appare così severo come durante la crisi del debito europeo per una serie di reti di protezione fornite dai risparmi delle famiglie, dal mercato del lavoro e dal settore privato. Ad esempio, i bilanci delle banche sono in una situazione migliore rispetto alla grande crisi finanziaria”, spiega.

Inflazione e banche centrali

Le perturbazioni sulle catene globali di fornitura causa delle fiammate dei prezzi del post Covid stanno diminuendo e l’ultima lettura di ottobre dell’indice dei prezzi al consumo negli Stati Uniti al di sotto delle aspettative (7,7% anno su anno contro una previsione dell’8%) è stata un sollievo per i mercati. Negli USA l’inflazione sembra si stia stabilizzando, sebbene a livelli più alti di prima della pandemia, mentre in Europa per colpa della crisi energetica viaggia ben al di sopra del 10%, con i prezzi di produzione per l’industria che faticano a contrarsi. “Quello che spaventa di più le banche centrali, e in primis la Fed, non è il dato sull’inflazione di per sé, ma il rischio di un aumento dei salari che potrebbe determinare una spirale inflazionistica”, avverte de Berranger. “Ad oggi, si è registrata una crescita dei salari più bassi e non di quelli delle fasce più alte, ma la situazione resta ancora incerta”, avverte.

Determinate a riportare l’inflazione agli obiettivi target, le banche centrali hanno risposto nel corso dell’anno inasprendo la propria politica monetaria. E lo stanno facendo anche a costo di aprire una fase recessiva. Ne è scaturito un cambio di regime per i mercati che venivano da un decennio di tassi bassi. “Per l’Europa siamo in una fase completamente diversa da quella del ‘whatever it takes’ di Mario Draghi. Le modalità di politica monetaria sono completamente cambiate. Francoforte si è dimostrata decisa ad alzare i tassi indipendente da quelli che saranno le conseguenze per l’economia”, spiega de Berranger. “Di conseguenza, le prospettive di crescita economica del Vecchio Continente per il 2023 sono state progressivamente riviste al ribasso e si attestano ora allo 0,9%. Un’inflazione in crescita era stata messa in conto, ma l’Eurotower non si aspettava un dato sopra l’8% nelle ultime proiezioni”, dice. Di conseguenza in base a questo scenario, la casa di gestione francese prevede che il tasso finale della Bce si situerà tra il 2,5% e il 3% e la prossima mossa di Francoforte potrebbe essere un rialzo dei tassi dello 0,5%, e non dello 0,75% come in molti prevedono, per lo scenario di bassa crescita che si prospetta. Per la Fed, invece, il tasso finale prima del rallentamento nel 2023 si situa al 5%-5,5%, con un prossimo rialzo dello 0,50% a uno dello 0,25% nella riunione di gennaio.

Mercati 

Questo ambiente avverso si è tradotto in una cattiva annata la maggior parte delle asset class, con la sola eccezione del settore energetico trainato dal boom dei prezzi del petrolio. “Nel 2022 non c’è stato nessun posto in cui nascondersi. Se finisse oggi sarebbe il peggior anno per un portafoglio tradizionale 60/40 dal 1931”, dice de Berranger. Eppure in questo finale d’anno il mood degli investitori seppur ancora pessimistico è in lieve miglioramento. In particolare, secondo la view del CIO le valutazioni dell’azionario, soprattutto quelle dei listini europei, si stanno avvicinando a dei livelli interessanti. Non sono ancora estremamente attraenti, ma si sono molto moderate: “Le valutazioni non sono a un livello 'screaming buy', ma sono interessanti perché molto dell'incertezza è stata scontata. Per esempio per l'Eurozona, il P/E ratio a 12 mesi dell’Eurostoxx 50 esprime un valore di poco superiore a 11. Si tratta di un livello storicamente basso e di norma quando questo l’indicatore è di una sola cifra è il momento di compare”, avverte de Berranger. “Non è facile capire cosa accadrà tra 3 o 6 mesi, ma normalmente se si compra a questo livello di valutazioni in Europa su un orizzonte temporale di 3-5 anni si è quasi certi di generare rendimento”, osserva l’esperto.

Per il mercato dei bond è stato uno dei peggiori anni dal dopoguerra. “Il livello dei tassi attuale con il Treasury a 10 anni al 4% non è consistente con il dato dell’inflazione core CPI al 6%, ma lo sarebbe di più con un livello di inflazione attorno al 3 per cento. Se l'inflazione rimarrà al 6% durante il 2023 sarà un anno molto complesso per tutti gli asset. Ma la nostra convinzione è che l'inflazione sebbene non tornerà al 2% probabilmente dovrebbe assestarsi al 3 o 4%, che è un livello più consistente con i tassi attuali”, analizza de Berranger. In aumento l’attrattività del credito, con una view positiva della casa di gestione sull’High Yield dell’Eurozona per degli spread che esprimono un buon rapporto rischio rendimento. “Con spread di circa 550 e 600 bps per un titolo ‘BB’ a 5 anni si ottengono dei rendimenti attorno al 7-9%. A questi livelli gli spread scontano uno scenario in cui la metà degli emittenti di questa classe di rating subiranno un default nei prossimi 5 anni, il che è estremamente improbabile”, conclude.