I fondi che investono nel debito emergente costano tipicamente di più e i fund buyer non possono non tenerne conto nella loro allocazione. Se ne è discusso nell'ultima parte della tavola rotonda sull’obbligazionario dei mercati emergenti.
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I fondi che investono nel debito emergente hanno tipicamente costi più alti, di conseguenza l'asset class richiede un’analisi più accurata da parte dei fund buyer, che devono necessariamente tenerne conto nella loro allocazione. La prima considerazione da fare è se scegliere un prodotto in hard currency o local currency. Ma quanto costa l’hedging? Nell’ultima parte della tavola rotonda sull’obbligazionario dei mercati emergenti si è trattato il tema discusso dei costi.
“In passato le allocazioni erano a favore dei titoli governativi emergenti rispetto ai corporate, mentre si prediligevano quelli in local currency per un’asset allocation dinamica. Ma le cose oggi sono cambiate”, è così che avvia la discussione Gonzalo Borja, head of Fixed Income Emerging Markets di Credit Suisse AM. “La politica accomodante delle banche centrali degli ultimi tempi ha giocato un ruolo centrale. L’aumento dei tassi dei Tresuries ha inoltre creato forti pressioni sul debito emergente, rendendo il segmento societario più competitivo. La loro naturale short duration consente di creare un cuscinetto sugli spread”, prosegue l’esperto. “Per quanto riguarda il rapporto tra rendimento e rischio, i corporate bonds Emerging Markets in valuta forte hanno un profilo decisamente migliore sia nei confronti dei govies, che dei rispettivi titoli europei e statunitense in ambito societario”.
“Costo minore non vuol dire prodotto migliore”, è questo il mantra di ogni fund selector. Marco Mazzetti, responsabile portafogli Fixed Income di Optima Sim conferma, però, quanto i costi vadano ad impattare le decisioni di asset allocation e la selezione dei prodotti. “Oltre ai costi di copertura, si valuta il TER, la classe istituzionale da usare e il bid-ask spread nel caso degli ETF”, aggiunge. “Tuttavia, ora preferiamo i fondi attivi sul debito emergente, perché il recente, e in qualche maniera inaspettato, rafforzamento del dollaro creerà delle opportunità selettive in alcuni Paesi e settori”.
Gli investimenti indicizzati consentono di risparmiare i costi, non solo quelli di gestione, ma anche quelli di trading. “I costi di replica sono maggiori nel mercato obbligazionario governativo statunitense e in quello corporate di altri mercati sviluppati. Il bid-ask spread nei fondi indicizzati sui governativi emergenti in hard currency è di circa 40 - 50 pb, mentre in local currency circa 25 -30 pb, ma dietro corrispettivo di un premio al rischio interessante”, spiega Valerio Schmitz Esser, head of Index Solutions di Credit Suisse AM.
La combinazione di un approccio bottom-up con un’analisi macro di tipo top-down è l’elemento su cui innesta l’utilizzo efficiente di fondi attivi e soluzioni passive specializzati nel debito emergente. “Queste ultime, certamente, possono contare su costi di gestione inferiori, ma nella scelta della soluzione migliore da aggiungere in portafoglio. I costi di transazione sono una variabile importante ed essi, a loro volta, dipendono dal grado di liquidità del sottostante, ovvero dalla diversa struttura dei mercati, dal numero di emissioni, dal peso degli investitori istituzionali e/o retail ma anche dai cambiamenti regolamentari e tecnologici che disciplinano gli scambi nei diversi mercati emergenti”, spiega Andrea Daffara, fund selector di Sella SGR.
Dato il forte impatto del dollaro sui mercati obbligazionari, un investitore europeo non può ignorare il costo di hedging, ma al testo stesso un’esposizione sulle valute vuol dire sottoporsi a una maggiore volatilità. “Il punto di partenza è la performance attesa, successivamente si valutano i rischi associati e in seguito i costi necessari per ottenerla”, spiega Damian Barry, responsabile Multi-Asset Multi-Management di Mediolanum International Funds. “Quando si seleziona un gestore attivo non si fa una valutazione del costo fine a sé stesso, ma si analizza quanto le expertise vanno a ripagare quel costo. Si possono poi usare gli ETF per mitigare il costo complessivo del portafoglio”, conclude il fund buyer.
“È bene differenziare i costi di hedging da quelli di mercato. I primi riguardano una decisione di asset allocation, cioè decidere se si vuole assumere un’esposizione o meno a una determinata valuta”, chiarisce Lorenzo Campori, responsabile gestioni patrimoniali di Banca Aletti. “Occorre poi ottimizzare la costruzione del portafoglio, cercando di minimizzare l’impatto derivante dai costi di mercato. Ciò dipende anche dal turnover del portafoglio stesso”, precisa il fund selector.