Gli esperti di BNY Mellon IM, Pictet AM e AXA IM valutano la possibilità che il ciclo di rialzo del dollaro finisca prima del tempo.
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Una delle cose per cui il 2015 passerà alla storia è senza dubbio l'inasprimento della guerra valutaria tra diversi Paesi del mondo. Sopra tutti c'è il dollaro, che sembra immerso in un ciclo alzista... o no? "La posizione ambigua della Fed e la disposizione delle banche centrali emergenti di intervenire per proteggere le loro valute suggerisce che il rally del dollaro potrebbe interrompersi", dice Paul Lambert, direttore delle divise in Insight Investment, parte di BNY Mellon IM. Tuttavia chiarisce che "le valute dei Paesi emergenti le cui autorità monetarie hanno perso credibilità agli occhi del mercato restano vulnerabili".
Lambert ritiene che la Cina potrebbe avere l'ultima parola sul corso della valuta americana: "Al suo apice nel 2014, le riserve della Cina hanno raggiunto i 4 bilioni di dollari, ed è improbabile che riacquistino livelli così elevati. Il gigante asiatico ha speso più di 500 miliardi intervenendo nei mercati per proteggere il renminbi nel corso degli ultimi dodici mesi, e in qualche misura, la sua svalutazione unilaterale nel mese di agosto era inevitabile". Lambert ricorda che il dollaro resta la valuta di riserva principale, pari al 60% delle riserve ufficiali del FMI. "Tuttavia, la vendita delle riserve non è solo un ostacolo per la moneta americana: potrebbe essere vista come un quantitative easing (QE) all'inverso, dal momento che comporta la vendita di asset in dollari", aggiunge l'esperto.
Il quadro diventa ancora più complesso per gli investitori in divise, tenendo conto degli sforzi dell'Europa e del Giappone per svalutare le loro rispettive monete attraverso diversi QE, insieme al calo delle riserve di un certo numero di mercati emergenti. Ecco perché Lambert dice che "gli argomenti secolari a favore del dollaro rimangono validi". Spiega che parte di questa tesi è che "l'aumento dei tassi di interesse non sarà coordinato nello stesso modo dei tagli del prezzo del denaro, e quest'asincronia del ciclo dei tassi spiega parte della volatilità che abbiamo già visto".
Inoltre, l'indipendenza energetica degli Stati Uniti ha provocato una conseguente diminuzione delle importazioni, che a sua volta "di solito spiega perché il dollaro mostra resistenza prima di iniziare un ciclo di stretta monetaria, e debolezza una volta cominciato". Nel frattempo, l'esperto di valute afferma che, nel mondo emergente, i sovrainvestimenti della Cina sono in calo, "cosa che continuerà a lasciare vulnerabili le monete dei Paesi esportatori di materie prime".Tutti questi fattori portano il rappresentante di BNY Mellon IM a concludere che "l'evoluzione dei livelli delle riserve e la capacità di errori di politica monetaria puntano a un ambiente altamente volatile, in cui l'esperienza di investitori farà la differenza tra vincitori e vinti".
Un'altra SGR che è posizionata contro l'opinione comune sull'euro/dollaro è Pictet AM. Luca Paolini, capo strategia della società, dice che si aspettano che il "biglietto verde" tocchi il picco nel 2016, ma che finisca l'anno a 1,10 o 1,15 sull'euro. "Siamo d'accordo che ci sono differenze politiche monetarie, ma il dollaro costa come nel 1995, 2002 o 2009. In quegli anni il dollaro si è deprezzato di circa un 5%", ha detto Paolini. "Inoltre, non pensiamo che la divergenza delle politiche monetarie ci sarà ancora per molto, visto che la crescita in Europa e negli Stati Uniti non è molto diversa", aggiunge. L'esperto mostra anche un'opinione diversa a quella della maggioranza per quanto riguarda il possibile aumento dei tassi di interesse negli Stati Uniti, che dice che già da tempo è stata valutata. Ritiene inoltre che forse questo è "l'aumento dei tassi più annunciato nella storia, per cui non c'è grande differenza se il primo rialzo avverrà a dicembre, a febbraio o a marzo, perché tutti sanno l'intento della Federal Reserve". Pertanto, afferma che "è possibile che, come nel 2004, l'impatto di questo aumento sarà zero". "Il vero rischio è il secondo aumento": se si verificasse nel mese successivo al primo rialzo, "gli investitori potrebbero iniziare a pensare che la Federal Reserve potrebbe alzare i tassi di interesse ad ogni nuovo incontro". "Non crediamo sia il caso, ma il mercato potrebbe essere vulnerabile a questi tipi di movimenti", dice Paolini.
Interessi incrociati
Chris Iggo, direttore degli investimenti obbligazionari di AXA IM, pensa come Paolini che un rialzo dei tassi negli Stati Uniti "non dovrebbe essere una sorpresa o corrispondere ad un gran inasprimento delle condizioni monetarie". Secondo le stime, nel migliore dei casi, se il primo aumento si verificasse nella riunione di dicembre i tassi di interesse comincerebbero nel 2016 a salire al massimo fino a 0, 5%, e l'aumento potrebbe essere inferiore all'1% all'inizio del 2017. Per Iggo, la chiave degli ultimi documenti pubblicati dalla Fed è che passi il messaggio per cui il ciclo di rialzi sarà molto graduale. "Dietro questa visione c'è il timore che un messaggio più aggressivo potrebbe generare un maggiore apprezzamento del dollaro e un forte aumento del rendimento dei bond a lungo termine, cosa che, in entrambi i casi, potrebbe avere un impatto negativo sulla crescita e l'inflazione", spiega.
La situazione si complica, secondo il parere dell'esperto, per la presenza di interessi contrapposti: "Mentre c'è chi negli Stati Uniti non vuole un dollaro più forte, perché diventa più difficile da raggiungere l'obiettivo di inflazione, c'è chi in Europa e in Giappone vuole che il dollaro aumenti e che crollino le proprie valute, perché sono più lontani dai loro obiettivi di inflazione". Ad esempio, sulla base di alcune recenti dichiarazioni di Peter Praet, capo economista della BCE, il rappresentante di AXA IM pronostica che "la BCE dovrà acquistare più asset e aumentare ulteriormente il suo bilancio oltre il 2016, con la speranza che questo spinga l'euro al ribasso e mantenga i costi a livelli molto bassi nell'Eurozona".