Edmond de Rothschild AM: lieve recessione negli Stati Uniti e una più significativa in Europa

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Ethan Sykes, immagine concessa (Unsplash)

Migliori auspici in vista del 2023. È questo il messaggio lanciato da Benjamin Melman, Global Chief Investment Officer di Edmond de Rothschild Asset Management. Secondo la view della casa di gestione i fattori negativi che hanno influenzato i mercati nel 2022 sembrano essere in via di attenuazione. “Il principale punto di distensione è stato l'inflazione statunitense, con i primi segnali di decelerazione che hanno innescato un forte rialzo di azioni e obbligazioni”, dichiara l’esperto che sul fronte geopolitico ravvisa anche un tono più costruttivo nelle relazioni tra Stati Uniti e Cina e i primi segnali postivi per una possibile apertura di colloqui di pace tra Russia e Ucraina.

Disinflazione

Pur prevedendo una tendenza alla disinflazione nei prossimi due anni, il gestore ritiene che per il momento negli Stati Uniti si tratta solo di una disinflazione temporanea. “Il mercato del lavoro rimane molto rigido e i salari continuano a crescere del 5%, il che è compatibile con un'inflazione complessiva di circa il 4%”, spiega. “Inoltre, l'attuale disinflazione, soprattutto tecnica, inietterà un po' di potere d'acquisto, il che non favorisce lo scenario di una forte recessione o di un marcato rallentamento dei salari”, osserva. “In altre parole, la disinflazione percepita dai mercati non seguirà necessariamente una linea retta. Questa è senza dubbio la tendenza di fondo che, a nostro avviso, orienterà i mercati nel 2023”, dice.

Recessione

Sebbene la crescita sia diminuita nel 2022 a causa dell'inflazione, questa è ben lungi dall'essere stata eliminata. Di conseguenza, gli utili delle società quotate in borsa sono stati finora molto più forti del previsto, soprattutto in Europa. “Ci aspettiamo una lieve recessione negli Stati Uniti e una più significativa in Europa, con una contrazione dei margini aziendali. In altre parole, prevediamo un calo degli utili nel 2023”, prevede Melman.

Rischio liquidità

La politica di inasprimento quantitativo continua negli Stati Uniti, tra gli altri Paesi, e si prevede che inizi presto anche in Europa. “L'impatto di queste politiche sui mercati è complesso e difficile da comprendere”, analizza il Global Chief Investment Officer. “Oltre alla liquidità legata alle banche centrali, c'è anche la questione della liquidità di mercato. Essa è molto bassa. I flussi hanno quindi un impatto maggiore sui prezzi di mercato rispetto al passato”, continua. “Il deterioramento della liquidità ci spinge a cercare protezione non appena il suo costo diminuisce, indipendentemente dallo scenario generale”, dice. “In effetti, sebbene le situazioni di scarsa liquidità non implichino necessariamente una correzione, nessuno può negare che il contesto aumenti la probabilità di un possibile ma imprevedibile shock”, spiega.

Azionario

“Per i mercati azionari, la disinflazione sosterrà i multipli di valutazione così come l'inflazione li ha penalizzati nel 2022. D'altra parte, storicamente non si è mai vista una recessione senza un impatto negativo sui mercati azionari”, osserva Melman. “È difficile essere particolarmente ottimisti sui mercati azionari”, dice. “È altrettanto difficile essere pessimisti: gli investitori hanno una scarsa esposizione all'asset class e si mantengono cauti, il che significa che ogni buona notizia può portare a un forte rialzo, soprattutto se la liquidità del mercato è così bassa. Storicamente, i migliori punti di ingresso sono stati nel cuore della recessione. Probabilmente dovremo rimanere pazienti prima di aumentare le esposizioni”, analizza.

Obbligazionario

La fiducia della casa di gestione nella tendenza alla disinflazione porta a una maggiore visibilità sul potenziale del mercato obbligazionario, soprattutto in seguito alla ripresa dei rendimenti. “Oltre al carry, ai massimi pluriennali, il rischio di perdita di capitale sembra molto più limitato sulle scadenze intermedie e più lunghe”, dice l’esperto. “Prendiamo ad esempio il mercato obbligazionario statunitense, dove la politica monetaria è già in territorio restrittivo”, sottolinea. “Se l'inflazione dovesse aumentare ulteriormente, i mercati anticiperebbero un maggiore inasprimento dei tassi e quindi anche maggiori probabilità di una recessione abbastanza grave da spezzare l'inflazione. I tassi a breve termine aumenterebbero quindi, ma sempre meno con l'allungarsi delle scadenze, al punto che i tassi a lunghissimo termine potrebbero addirittura scendere”, osserva. “La situazione è molto più evidente negli Stati Uniti che in Europa, che non ha ancora una politica monetaria restrittiva ed è anche meno leggibile”, continua. “Tuttavia, dato l'impatto del mercato obbligazionario statunitense sul resto del mondo, siamo tentati di estrapolare questa logica”, conclude.