Esma, arriva la stretta sulle performance fee

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Foto JESHOOTS

Lo sappiamo: in Italia il risparmio gestito è tra i più cari d’Europa. Metti le commissioni di gestione, gli oneri della banca depositaria, i costi di revisione, quelli di transizione o le commissioni di entrata ed uscita spesso praticata dai gestori. Aggiungi eventuali costi fissi e le commissioni di performance e, come si legge in un recente report di Tosetti Value, gli oneri che gravano sui prodotti pesano l’1,44% contro appena l’1% nel resto d’Europa. C’è molto da fare. La strada è lunga. Ma qualcosa, fin dall'arrivo di MiFID II, comincia a muoversi.

Prendiamo, ad esempio, le ultime regole annunciate dall’Esma, l’authority che vigila sui mercati finanziari europei. Le commissioni di performance dei fondi comuni vanno ridimensionate. O meglio vanno applicate con indici più rigidi e trasparenti, rispetto a quanto fatto finora. L’intervento ha l’obiettivo di “assicurare che i modelli di commissioni di performance utilizzati dalle società di gestione rispettino i principi di onestà ed equità, in modo tale da evitare che costi indebiti vengano addebitati al fondo e ai suoi investitori”, spiega Esma. Regole più vicine alle esigenze dei risparmiatori anche sul fronte della comunicazione perché “gli orientamenti mirano a stabilire uno standard comune in relazione alla divulgazione delle commissioni di performance agli investitori”, aggiunge.

Le nuove regole

Nello specifico l’autorità di vigilanza ha fissato delle regole comunitarie stringenti. Tra le novità, ad esempio, metodi di calcolo più rigidi ma anche la frequenza: le performance fee andranno pagate solo una volta l’anno e non con cadenza mensile o trimestrale, come avviene ancora in parecchi casi. E perché pagare poi delle commissioni se le performance del fondo sono negative? “Una commissione di performance dovrebbe essere esigibile solo nei casi in cui siano state maturate performance positive durante il periodo di riferimento della performance”, scrive l’authority. “Qualsiasi sottoperformance o perdita subita in precedenza durante il periodo di riferimento della performance (5 anni ndr) dovrebbe essere recuperata prima che la commissione di performance diventi esigibile”. L’obiettivo, insomma, è fare sì che questi costi siano allineati il più possibile all’interesse degli investitori che è quello di avere gestori che realizzino rendimenti migliori rispetto ai propri benchmark. L’intervento è stato dettato dalla preoccupazione che queste commissioni siano applicate anche quando il manager non apporta un reale valore aggiunto, affiancando costi variabili alle commissioni di gestione fisse.

L'impatto sulle Sgr italiane

Una piccola rivoluzione con cui le Sgr italiane dovranno fare i conti. Letteralmente. Tanto più che il peso di queste commissioni, secondo una recente analisi di Mediobanca Securities sui bilanci delle maggiori dieci società di gestione, sfiora il miliardo. Secondo gli analisti, Fineco, che tramite la sua controllata irlandese non applica questo tipo di commissioni, è l’unica che può dormire sonni sereni. Azimut e Banca Generali, invece, dovranno rivedere i loro calcoli perché il peso delle perfomance fee per entrambe le società è molto alto, sfiorando o superando il 50%. Frattanto la prima applicazione degli orientamenti emanati dall’Esma scatterà il 5 gennaio prossimo.