Efficienti, trasparenti, semplici, liquidi e dal costo contenuto. sono solo alcuni degli aspetti positivi di queste strategie passive, sempre più gettonate da risparmiatori e consulenti finanziari. Una tendenza spinta, in prima battuta, dalla direttiva MIFID II.
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Fondi attivi o ETF? Che sia chiaro: l’importanza prima di tutto è affidarsi ad una buona consulenza. Non esiste, infatti, uno strumento in assoluto migliore dell’altro - molto dipende dalle asset class di riferimento - ma è certo che gli ETF hanno riscosso un grande successo negli ultimi anni. Basta guardare i dati. Il 2017 è stato un anno record per ETFplus di Borsa Italiana: la raccolta netta è stata di 10,8 miliardi (+168% rispetto al 2016) e gli asset gestiti ammontano a circa 65 miliardi. Una cifra comunque ancora molto marginale rispetto all’ammontare complessivo del risparmio gestito italiano (oltre 2.000 miliardi) e sicuramente bassa se confrontata con le masse gestite a livello globale ed europeo dagli ETF. C’è molto da dire ancora sulla diatriba tra gestione passiva ed attiva, ma una cosa è certa: gli investitori richiedono maggiori rendimenti quindi, in prima battuta, commissioni più basse. E ad oggi, i benefici di una gestione attiva non sempre valgono quanto le commissioni pagate per generarli. Ultimamente se ne sono accorti diversi prodiver di ETF. Con l’arrivo poi di MiFID II il trend è partito: “Si è notato un certo interesse per gli ETF anche se forse una più grande esplosione potrà avvenire nei prossimi mesi”, spiega Gianluca Scelzo, consigliere delegato di Copernico SIM. E non solo per una questione di costi. “Una strategia passiva può essere utile come forma di diversificazione, in particolare per quelle tipologie di settori che non hanno degli strumenti attivi particolarmente performanti. Per fare un esempio, volendo comprare strumenti come le materie prime, spesso i fondi a gestione attiva non ci sono o sono poco performanti. Quindi, in questi casi, comprare ETC può essere un buon modo per diversificare il proprio portafoglio”.
L'uso dei fee only
Un punto di vista privilegiato è quello di Euclidea SIM: “I nostri portafogli da sempre includono sia fondi che ETF”, dice Luca Valaguzza, chief product officer della società. “Pur occupandoci di gestione patrimoniale, abbiamo sviluppato un servizio B2B con gli isitituzionali ma anche con consulenti indipendenti e family office che si appoggiano a noi per i loro clienti. Direi che l’interesse è certamente cresciuto e crescerà ancora nei prossimi tempi”. I consulenti finanziari indipendenti, infatti, hanno da tempo imparato ad utilizzare ETF come strumento interessante ed utile per le loro caratteristiche di convenienza e flessibilità. Lo conferma Luca Mainò, co-fondatore di Consultique e membro del consiglio direttivo NAFOP. “Una delle leve della consulenza a parcella sta nel consigliare all’investitore strumenti semplici, liquidi e dal costo contenuto. In questo senso gli ETF sono il principale punto di riferimento: le commissioni sono molto più basse e si possono acquistare presso qualsiasi intermediario in quanto quotati in Borsa”, spiega l’esperto. “Dato che l’offerta di ETF in Italia ed in Europa ha raggiunto ormai una dimensione ed una varietà notevole, il consulente indipendente ha a disposizione una serie di mattoncini a basso costo con i quali può costruire per il cliente l’asset allocation che meglio si coniuga con le sue necessità ed i suoi obiettivi, attività per la quale l’advisor fee only (solo a parcella) è pagato direttamente dal cliente. Da non sottovalutare il vantaggio di tipo organizzativo dovuto al fatto che gli ETF possono essere comprati direttamente sul mercato da chiunque e senza limitazioni. L’attuale sistema di accordi di collocamento sui fondi comuni - invece - rende molto difficile per un consulente indipendente poter consigliare un fondo a tutti i suoi clienti in quanto alcuni di questi potrebbero non riuscire ad accedervi presso il proprio intermediario”.
Le motivazioni
Analizzando i flussi, è pur vero che le masse arrivano da investitori istituzionali o tramite prodotti-contenitore, come gestioni patrimoniali o unit linked. Stando ai dati Assoreti 2017, infatti, solo 671 milioni (su un totale di 77 miliardi) sono arrivati dall’attività dei consulenti finanziari come soluzione diretta. Il totale degli asset investiti in strumenti passivi tramite consulenti a fine 2017 ha raggiunto i 3,4 miliardi, ma per il 2018 ci si aspettano cifre in crescita. Almeno secondo Moneyfarm. “Esiste una tendenza di avvicinamento dei consulenti agli ETF e i numeri confermano questo trend”, dice Andrea Rocchetti, responsabile area consulenza della società. “Le motivazioni sono diverse, una su tutte sicuramente il tema della migliore conoscenza degli strumenti e della conseguente confidenza tra gli addetti ai lavori. Infine, come possiamo notare dalla nostra esperienza in Moneyfarm, dove abbiamo scelto fin dal principio gli ETF come strumento sul quale costruire la nostra strategia di investimento, anche la richiesta di maggiore efficienza e trasparenza da parte dei risparmiatori sta avendo e avrà sempre di più un ruolo centrale nel trend di crescita di tali strumenti. Gli ETF sono infatti particolarmente efficienti per trasparenza, diversificazione e per i costi contenuti. Nella maggioranza dei casi e soprattutto per benchmark ampi, generici e liquidi, possono essere una soluzione migliore rispetto alla maggior parte dei cugini attivi, anche in termini di performance. Per questo crediamo che il futuro degli ETF in Italia si leghi meglio con i prodotti contenitore come gestioni patrimoniali, polizze vita e PIP/fondi pensione distribuiti anche e soprattutto dai consulenti finanziari”.