FED: crescono le probabilità di un taglio dei tassi a luglio

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Nel meeting di giugno il FOMC ha lasciato invariati i tassi di interesse, ma ha lasciato la porta aperta a un possibile taglio dei tassi il mese prossimo.

Con il mercato che ha già scontato oltre l’80% di probabilità di una riduzione dei tassi a luglio, questo è il minimo che la FED potesse fare per soddisfare le aspettative. “La debolezza dei dati economici a livello globale, il calo delle aspettative sull’inflazione e i continui timori in merito alla guerra commerciale spiegano la posizione accomodante della Fed”, spiega Lee Ferridge, responsabile Multi-Asset Strategy per le Americhe di State Street Global Markets. “D’altro canto l'economia continua a crescere al di sopra del trend, il mercato del lavoro ha raggiunto la piena occupazione e, se da un lato l'inflazione rimane al di sotto del target del 2%, dall’altro non resta troppo lontana dai dati annuali dell’indice dei prezzi al consumo (PCE) core, che si attestano all'1,6%. A meno che il contesto interno non si deteriori ulteriormente, è difficile pensare che la Fed possa tagliare i tassi di interesse due volte quest’anno".

Secondo Keith Wade, chief economist and strategist di Schroders è possibile che i dati migliorino da qui a luglio, ma ciò sembra improbabile, in quanto ci aspettiamo che i numeri del secondo trimestre restino deboli, dato che le imprese hanno tagliato le scorte e le spese in conto capitale. “Potremmo anche assistere a un esito favorevole dell’incontro tra Trump e Xi al G20, ma il rischio di ulteriori dazi rimarrà elevato, vista la distanza tra le due parti su questioni come la proprietà intellettuale e la tecnologia”. 

È indubbio che il clima di tensione degli ultimi mesi ha certamente influito sul sentiment in merito ai mercati emergenti. Entrambi i paesi rivestono infatti un ruolo chiave nell’economia globale e la recente escalation delle tensioni ha causato molta preoccupazione sui possibili effetti negativi, che si estenderebbero necessariamente a livello globale, anche alla luce della debolezza dei dati sia per gli Stati Uniti che per la Cina.

“Il nostro team di ricerca Macro & Policy ritiene tuttavia che il raggiungimento di un accordo sia ancora possibile nel 2019: in particolare ci sarebbe un 65% di possibilità che si verifichi uno scenario che abbiamo definito “pained deal”, dove gli attuali dazi resterebbero in vigore, ma senza ulteriori escalation. Una volta raggiunto un accordo e alcuni progressi su questioni non legate ai dazi, questi ultimi potrebbero essere aboliti. La portata e il livello di dettaglio dell'accordo sarebbe probabilmente inferiori a quanto previsto in precedenza, ma riteniamo che questo dovrebbe essere un risultato positivo per gli investimenti nei mercati emergenti”, spiega Francesco Lomartire, responsabile di SPDR ETFs per l’Italia. “In ambito commerciale se i toni aggressivi o le azioni degli Stati Uniti dovessero surriscaldarsi, potremmo assistere a un allentamento della politica della Fed già da questa estate, ma se le tensioni commerciali dovessero raffreddarsi, pensiamo che la Fed attenderà di avere un quadro chiaro sui dati e abbasserà i tassi dall'autunno in poi”, commenta Andrew Wilson, CEO EMEA e responsabile globale Fixed Income di Goldman Sachs Asset Management.

Salman Ahmed, chief investment strategist di Lombard Odier IM  si aspetta che l’easing della Fed inizi a luglio, con riduzioni dei tassi di interesse più nette e veloci qualora i dati si deteriorassero al ritmo attuale: “In linea con le nostre attese, le due principali banche centrali, Fed e Banca Centrale Europea, hanno nuovamente e saldamente intrapreso un percorso di easing. Sul fronte della BCE, infatti, il presidente Mario Draghi ha portato sul tavolo dei negoziati sia le riduzioni dei tassi di interesse che il quantitative easing (in linea con le nostre aspettative in contrapposizione con il consensus). Riteniamo che i rendimenti a livello globale probabilmente subiranno una pressione al ribasso fino a quando non emergeranno pressioni inflazionistiche”.

Mike Gitlin, responsabile del Reddito Fisso, Pramod Atluri e Ritchie Tuazon, portfolio manager di Capital Group ricordano che una delle massime preoccupazioni degli investitori è la curva dei rendimenti. “Quando il differenziale tra i Treasury a 2 e 10 anni diventa negativo (curva invertita) spesso si è in presenza di tensioni economiche o di una vera e propria recessione. La curva non ha ancora raggiunto il punto d'inversione, ma vi si sta avvicinando. Con la Fed più disposta a tagliare i tassi d'interesse e la possibilità che i dazi facciano salire l'inflazione, posizionare i portafogli in vista di una curva dei rendimenti più ripida ha assolutamente senso”.

Oro: bene rifugio?

Man mano che i mercati monetari e obbligazionari si innervosiscono circa il futuro potere d’acquisto del dollaro, i prezzi di oro e argento sembrano avviati a riprendere la loro corsa rialzista secolare. “Quando iniziarono l’atteggiamento da falco della Fed e le promesse di un ridimensionamento del bilancio, la quotazione dell’oro era a circa 1.800 dollari l’oncia e quella dell’argento intorno ai 40 dollari l’oncia. I bilanci delle banche centrali ora sono ancora più ampi e l’oro tratta sotto i 1.400 dollari l’oncia, mentre l’argento è intorno ai 15 dollari l’oncia”, conclude Ned Naylor-Leyland, gestore del fondo Merian Gold & Silver, Merian Global Investors