Il mercato globale dei robo advisory è cresciuto da 28,24 miliardi di dollari nel 2022 a 41,52 miliardi di dollari nel 2023, secondo gli ultimi dati di Research Dive, società di consulenza in ambito marketing. Le stime indicano che potrebbe raggiungere i 205,84 miliardi di dollari nel 2027. I risultati di un altro studio condotto da Parameter Insights, società di consulenza attiva nel wealth management, rivelano invece che nel 2022 gli investitori hanno abbandonato gli strumenti di investimento autogestiti come i robo-advisor e i conti di intermediazione a un ritmo impressionante. Sembrerebbe che gli investitori più ricchi si stiano rivolgendo sempre di più ai consulenti finanziari tradizionali, mentre gli amanti del fai da te aspettano, contanti in mano, che il mercato si riprenda. Nell’ultima parte della tavola rotonda dedicata ai clienti e prodotti d’investimento del futuro abbiamo chiesto ad alcune delle principali reti italiane come vedono la loro attività di consulenza integrata in un approccio diverso alla clientela e perché, secondo loro, la tecnologia dei robo advisor fatichi ancora a trovare spazio in Italia.
Fidatevi dei consulenti (e dei robo advisor): non potremo più farne a meno
Una delle possibili ragioni riguarda la percezione dell'attività di robo advisory che secondo Luigi Capezzone, responsabile delle strategie di investimento e dei prodotti di risparmio gestito di Banca Generali, è intesa ancora troppo in contrapposizione rispetto a quella del consulente. “Questo strumento ci permette di processare una quantità di dati che da soli non potremmo elaborare. Sicuramente ci vorrà del tempo per far comprendere le potenzialità dei robo advisory perché molti sono spaventati dal fatto che un domani possano bypassare il rapporto consulente-cliente ma accadrà proprio il contrario: mentre i consulenti si dedicheranno sempre di più a rafforzare la relazione di fiducia con i clienti, la tecnologia si occuperà della parte di analisi e rielaborazione dei dati”, spiega l’esperto. Capezzone chiarisce che la necessità di avere un professionista con cui confrontarsi ci sarà sempre, indipendentemente dal settore di riferimento. “Nel momento in cui si capirà che la tecnologia che c'è dietro l’attività di consulenza e di costruzione dei portafogli non va in contrapposizione con il lavoro del consulente ma è uno strumento che il professionista ha dalla sua per fare sempre meglio e per rispondere alle esigenze del cliente, allora questa troverà piena applicazione. Secondo noi è solo una questione di tempo e a breve non se ne potrà più fare a meno”, aggiunge.
1/4L’industria italiana è consapevole che l’innovazione tecnologica sia un game changer importante anche in uno dei settori in cui la fiducia e la relazione con la clientela continuano a giocare un ruolo rilevante. A sostenerlo è Sebastiano Serrao, head of Investment Products & Services di Fideuram Intesa Sanpaolo Private Banking. “Siamo nell'era dei big data, abbiamo calcolatori che processano in microsecondi enormi quantità di dati che ci permettono di rispondere ad esigenze di personalizzazione, efficienza e rapidità. Non possiamo ignorare le grandi opportunità che offre l’innovazione tecnologica a supporto della consulenza, ecco perché ci piace parlare di robo for advisory”, aggiunge. Per Serrao il futuro vedrà l’affermazione di un modello ibrido digitale multicanale che combina interazione umana e digitale per alleggerire il consulente e scaricare sulla tecnologia tutto quello che riguarda le mere combinazioni logiche di dati e la costruzione di portafogli. L’esperto ricorda che in America tutto questo è già realtà. Le grandi banche stanno integrando modelli ibridi di wealth management e anche in Italia stanno nascendo soluzioni simili ma ci vorrà del tempo perché possano affermarsi. “Il nostro paese è ancora caratterizzato da una bassa cultura finanziaria e il processo di trasformazione del modello di business basato sui sistemi di legacy verso soluzioni digitali integrate richiede tempo, ma la direzione è tracciata verso un modello ibrido che non escluda nessuno dalla consulenza in cui interazione umana e servizi di robo advisory ci aiuteranno a rispondere in modo inclusivo verso tutti i segmenti di clientela”, conclude Serrao.
2/4In Italia il segmento robo advisory è ancora poco sviluppato, ma presenta tassi di crescita molto interessanti. Le generazioni dei Millennials o dei nativi digitali sono sicuramente più avanzate dal punto di vista tecnologico ma, al tempo stesso, hanno bisogni e attitudini di investimento molto basici rispetto alle generazioni precedenti. È importante, dunque, disegnare per loro un'offerta accessibile anche con investimenti più bassi e che tenga conto della loro maggiore attenzione agli aspetti della tecnologia. “Dal nostro punto di vista, siamo sempre attenti a esplorare le opportunità che può offrire questo segmento di clientela anche attraverso continui investimenti nell’infrastruttura tecnologica con il duplice obiettivo di supportare la rete distributiva nell’attività di consulenza e per offrire prodotti finanziari accessibili anche a questi segmenti di clientela”, spiega Chiara Calì, director Global Investment & Protection Products di Unicredit. Il tema dell’innovazione tecnologica è inoltre strettamente legato al tema dell'educazione finanziaria, che in Italia risulta ancora a livelli non particolarmente elevati. “Ancora oggi molti clienti non sono in grado di comprendere appieno concetti finanziari di base come “rischio-rendimento” o “diversificazione del portafoglio”, ma mostrano un interesse crescente per strumenti molto rischiosi come le criptovalute, il che sembra paradossale”, aggiunge l’esperta. Lo sforzo delle reti di consulenza, pertanto, dovrebbe essere quello di avvicinare questa tipologia di clienti attraverso una costante attività di education e supporto di formazione e offrendo un prodotti semplici, accessibili e caratterizzati al tempo stesso da un elevato contenuto tecnologico.
3/4Quello degli investimenti è un settore dove il termine “vendita” viene spesso male interpretato. “Noi preferiamo utilizzare la parola 'partnership o consulenza', che significa andare ben oltre la semplice distribuzione di uno o più fondi, costruire un’architettura di collaborazione in cui, sempre mantenendo la centralità del cliente, si creino sinergie ed economie di scala tali da rendere il modello egualmente soddisfacente per asset manager e distributore”, commenta Daniele Diotti, sales manager di Franklin Templeton Investments. “Possiamo mettere sul tavolo i casi di successo, in termini di prodotti e di nuove soluzioni, che hanno funzionato meglio a livello internazionale e calarli nella realtà del mercato domestico. Non si tratta di fare un banale "copy & paste”, ma di disegnare insieme un progetto industriale dedicato, attingendo alle best practice maturate su scala globale”, spiega l’esperto. Allineare gli interessi e creare efficienza significa sempre fare il meglio per l’investitore. Da molti anni Franklin Templeton offre a distributori e partner quello che dalla società definiscono il Value Beyond Investing. “Oltre alla normale offerta di fondi e mandati di gestione, che restano naturalmente il nostro core, ci sono intere divisioni all’interno dell’asset manager dedicate ad altri tipo di offerta, quali la formazione professionale (FT Academy), la ricerca e la Thought Leadership (FT Institute), i digital asset ecc. Siamo lieti di poter contribuire così alla crescita dei nostri clienti al di là degli investimenti”, evidenzia Diotti.
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