Fondi pensione: un benchmark internazionale per allinearsi alle tendenze d’investimento globali

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Raúl Mateos, Head of Advisory, Willis Tower Watson

Contributo a cura di Raúl Mateos, head of Advisory di Willis Tower Watson. Tratto dalla rivista numero 31 Funds People - sezione Pensioni.

Data l’evoluzione dei mercati negli ultimi anni e la riduzione delle normali fonti di rendimento nei fondi pensione aziendali o professionali, rappresentate in buona sostanza dagli asset tradizionali (azioni e obbligazioni, soprattutto europee), diversi comitati di controllo hanno iniziato a valutare l’introduzione di nuove asset class nei loro portafogli (asset alternativi come i mercati private o i diversificatori, noti anche in alcuni casi come prodotti absolute return). In considerazione di queste necessità di sviluppo in un mercato esposto prevalentemente ad asset tradizionali e nel quale, a livello locale, sono davvero rari i fondi pensione aziendali o professionali con un’esposizione importante agli investimenti alternativi, i comitati di controllo hanno registrato una mancanza di benchmark per valutare l’adeguatezza del percorso da intraprendere.

A questo proposito, Willis Towers Watson ha collaborato con diversi comitati di controllo attivi sui rispettivi mercati nazionali al fine di elaborare un benchmark di riferimento dei vari fondi pensione aziendali o professionali a livello internazionale, in modo da poter disporre di informazioni adeguate per prendere decisioni nell’ottica dello sviluppo delle proprie strategie di investimento.

Nel suddetto studio sono stati presi in considerazione i Paesi di riferimento nel mondo della previdenza sociale complementare come Australia, Belgio, Germania, Italia, Irlanda, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito e Svizzera. In tale campione sono stati considerati in totale 570 fondi pensione aziendali o professionali dotati di un’unica strategia di investimento per l’intero fondo, con un patrimonio complessivo totale di poco oltre il miliardo di euro (in base ai dati di fine 2017), tra i quali figurano tanto fondi pensione a prestazione definita (in cui le società si impegnano a versare una somma prestabilita dal pensionamento dei propri dipendenti e si assumono il rischio di investimento per ottenere tale somma) quanto quelli a contribuzione definita (in cui le società versano esclusivamente una somma prestabilita al fondo pensione dei dipendenti, per cui sono questi ultimi ad assumersi il rischio d’investimento).

I mercati a contribuzione definita inclusi nello studio sono stati prevalentemente quelli di Australia, Belgio e Italia, mentre i mercati più importanti a prestazione definita sono stati Paesi Bassi, Regno Unito e Portogallo (cfr. grafico sottostante per ulteriori dettagli). Il caso svizzero è un po’ particolare, dal momento che non si configura nella maggior parte dei casi come un mercato a contribuzione o prestazione definita puro, ma come un regime ibrido, per cui le società forniscono ai propri dipendenti una determinata somma per la pensione, garantendo al contempo un rendimento minimo durante tutta la loro vita lavorativa.

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In tali mercati, le strategie sono orientate soprattutto agli investimenti alternativi, come si può vedere nel seguente grafico, dove si distinguono i mercati australiano e svizzero con portafogli investiti fino al 30% in prodotti alternativi. Entrambi i grafici dimostrano, quindi, che l’investimento alternativo non dipende dal tipo di regime (contribuzione o prestazione definita) ma dagli obiettivi di investimento di ogni comitato di controllo o fondo pensione. È il caso, ad esempio, del mercato australiano, dov’è più frequente trovare obiettivi di investimento annualizzati a lungo termine del tipo ‘IPC + 3%’ o ‘IPC + 4%’.

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Analizzando il campione generale in forma aggregata, come mostrato nel grafico a torta, si conclude quanto segue:

• nei portafogli campione l’azionario ha una ponderazione media del 37%;

• l’esposizione media agli investimenti alternativi raggiunge un 23%, soprattutto mediante i mercati privati;

• l’investimento nel credito alternativo (ad esempio, obbligazioni high yield, prestiti, reddito fisso emergente o credito strutturato) arriva a una ponderazione del 3%;

• l’investimento nel reddito fisso tradizionale non supera il 37%

Da un’analisi più approfondita risulta che tali portafogli sono più chiaramente orientati all’investimento nel comparto azionario globale, in quanto a livello internazionale gli investitori istituzionali scelgono categoricamente l’azionario globale in gran parte dei propri portafogli, seppur con una lieve predilezione per il mercato locale nel caso australiano. Del tutto differente è il caso del reddito fisso, dato che parte del portafoglio è destinato, nel caso dei fondi a prestazione definita, a garantire il pagamento delle prestazioni dei dipendenti al momento del pensionamento.

La differenza più importante emerge nel caso degli investimenti alternativi, non solo per la ponderazione complessiva in tutto il campione (un 23%) ma anche per la predilezione per gli asset illiquidi (con una ponderazione del 19%). In questa tipologia di asset, scendendo ulteriormente in dettaglio, il focus è concentrato sugli investimenti immobiliari (4%) e infrastrutturali (11%).