L’indice MIISI sull'Europa sale oltre i 70 punti a marzo. Migliora anche il sentiment sul mercato italiano, mentre si registrano i primi effetti del Quantitative easing di Mario Draghi.
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Lo spread è precipitato fino a quota 84, il minimo da settembre del 2008. Un ritorno ai tempi pre-crisi e ai giorni precedenti alla bancarotta della Lehman Brothers. L’effetto del Quantitative easing di Mario Draghi, sul differenziale tra i Btp e i Bund tedeschi, c’è stato: l’euro è arrivato a toccare quota 1,0494 sul dollaro, il minimo da 12 anni. Schiacciati anche i rendimenti di tutti titoli. Rialzate le stime di crescita dei vari Paesi dell’Eurozona. Insomma qualcosa si muove e anche i gestori cominciano ad essere più ottimisti. È quanto emerge dall’ultimo sondaggio mensile di Morningstar, condotto dal 1 al 9 marzo tra le principali case di investimento che operano in Italia a cui hanno partecipato 23 investitori professionali.
Il Morningstar Italy Investment Sentiment index (MIISI), costruito sulla base delle probabilità attribuite a diversi scenari (mercati in salita, stabili o in discesa) su un orizzonte di sei mesi, mostra che gli intervistati sono convinti che le Borse europee faranno meglio di Wall Street e che l’euro continuerà ad indebolirsi nei confronti del biglietto verde. "L’indice di sentiment sui prezzi del Bund decennale tedesco, preso a riferimento per l’area, è posizionato tra la neutralità e lo scenario moderatamente negativo, mentre quello sul BTp italiano di pari-scadenza è più spostato verso la neutralità”, affermano da Morningstar. “Tuttavia, la maggior parte dei gestori esclude un sell-off (vendite massicce), in quanto l’inflazione rimarrà su livelli molto bassi e difficilmente ci sarà un drastico miglioramento macro-economico. Permangono inoltre le incognite legate alla situazione greca e all’elevato indebitamento dei Paesi periferici”.
Europa, sentiment oltre i 70 punti
A marzo, l’indice di sentiment sulle Borse europee è salito a 70,11 punti dai 68,6 di febbraio. Le principali ragioni sono il miglioramento della situazione economica, grazie al calo del prezzo del petrolio e all’euro debole; le minori preoccupazioni per la situazione greca e il consensus sugli utili delle aziende. Nel 2014 le previsioni erano troppo ottimiste e i mercati sono rimasti delusi, mentre quest’anno sembrano più ragionevoli.
Usa, meglio il rendimento da dividendi
L’indice di fiducia su Wall Street è il più basso tra quelli dei mercati azionari, ma rimane ben sopra i 50 punti, soglia che divide uno scenario rialzista da uno ribassista. Il confronto tra il rendimento dei titoli decennali statunitensi e dei dividendi è ancora a vantaggio di questi ultimi, per cui i gestori sono convinti che le azioni a stelle e strisce si apprezzeranno nei prossimi sei mesi.
Tokyo, valutazioni attraenti
Il MIISI sull’indice Nikkei 225 rimane stabile sopra i 64 punti a marzo. Secondo alcuni analisti, le valutazioni, misurate come rapporto tra prezzo e utili, sono basse se comparate con gli altri mercati sviluppati. Inoltre, la dinamica degli utili è favorevole, grazie anche alla valuta e all’andamento del prezzo del petrolio.
Emergenti tra tensioni e crescita
A marzo, l’indice di sentiment sui mercati azionari emergenti è salito leggermente, passando da 58,7 a 62,39 punti. Da un lato, le iniezioni di liquidità da parte della Banca centrale europea hanno alimentato l’ottimismo; dall’altro le tensioni politiche in Ucraina e tra la Russia e l’occidente, insieme alla vittoria del partito di sinistra Syriza alle elezioni greche, hanno acceso le preoccupazioni degli investitori. Questi ultimi non perdono di vista neppure l’economia cinese, che continua a mostrare segni di rallentamento e le decisioni di politica monetaria prese in altri paesi, tra cui l’India, dove l’istituto centrale ha recentemente deciso di tagliare i tassi per sostenere il piano per la crescita. Sono stabili, invece, le previsioni dei gestori sui prezzi delle obbligazioni emergenti, con l’indice MIISI che rimane intorno ai 52 punti. Gli intervistati sono prudenti, considerato l’aumento del rischio di default per alcuni paesi come il Venezuela, l’Argentina e l’Ucraina, ma non escludono un rimbalzo nel breve.