Un bilancio sul 2021 positivo (soprattutto grazie alla componente azionaria) vede un’evoluzione incerta già nei primi mesi dell’anno. Le strategie degli istituzionali nel convegno di Itinerari Previdenziali.
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Gli istituzionali si preparano a un anno di incertezze. Dopo un 2021 che ha riservato performance brillanti (soprattutto nella componente di investimento azionaria), questi 12 mesi si confrontano con uno scenario inflattivo ormai definito e, inattese, le incognite legate alla guerra della Russia in Ucraina. Al di là delle variabili contingenti, però, la riflessione aperta da Itinerari Previdenziali nel corso del convegno virtuale “I risultati 2021 per gli investitori istituzionali”, parte dai dati di Covip per approfondire il tema con i protagonisti del settore.
La Commissione di vigilanza sui fondi pensione ha indicato, nell’ultima rilevazione, risultati in media positivi per le forme complementari, e più elevati per le linee di investimento caratterizzate da una maggiore esposizione azionaria. In particolare i rendimenti si sono attestati, rispettivamente, al 4,9 e al 6,4% per fondi negoziali e fondi aperti. Su un orizzonte di dieci anni (2012–2021) il rendimento medio annuo composto è stato pari al 4,1% per i fondi negoziali e al 4,6 per i fondi aperti. Nello stesso periodo, la rivalutazione del TFR è risultata pari all’1,9% annuo. In attesa di capire le prossime mosse della BCE in fatto di politica monetaria (il 10 marzo si terrà la riunione a Francoforte) si possono dunque tirare le somme sul 2021 che, come illustrato chiaramente da Roberto Motto, senior adviser Dipartimento di Politica Monetaria BCE in apertura del convegno, si è caratterizzato come un anno di “forte disequilibrio tra domanda e offerta, soprattutto negli Stati Uniti che hanno visto una forte decompressione della domanda”. Andamento, come noto, determinato anche da politiche fiscali espansive. “E il modo in cui si risolve questo disequilibrio tra domanda e offerta è stato un aumento dei prezzi dell'inflazione”. Inflazione che si riflette anche nelle scelte di investimento degli istituzionali.
La tavola rotonda con gli istituzionali
Se da un lato Alfredo Granata, responsabile patrimonio Inarcassa sottolinea che il 2021 si può qualificare “come uno dei migliori periodi in termini di performance venuti nel corso degli ultimi 10/15 anni”, occorre fare dei distinguo per aree geografiche di riferimento (bene USA ed Europa, ma andamento “non altrettanto corrisposto dagli indici relativi al mercato emergenti, in particolare riferimento a quelli asiatici”). In questo la componente azionaria “è quella che ha contribuito in misura prevalente al risultato complessivo”, con particolare enfasi, sottolinea Granata, “sull'azionario Italia grazie al nostro pacchetto di partecipazione diretta”. Anche i private market hanno contribuito al risultato, con un interesse per il private equity (italiano e internazionale) che si estende sui prossimi mesi. Non sorprende dunque che anche per Fondo Pegaso “l'asset classe migliore nel 2021 sia stato l'azionario globale”, come riporta il direttore generale del fondo Andrea Mariani che indica anche la componente private equity come centrale nelle scelte di allocazione. “Anche per noi quelli delle scorso anno sono fra i migliori rendimenti nella storia di 21 anni di Fondo Pegaso (ma non il migliore)”. Mentre sul 2022 il DG richiama il potenziale scenario di stagflazione in cui l’introduzione “in modo sempre più consistente dei private market potrà rivelarsi sono un elemento di diversificazione sotto diversi profili”. Alessandro Sancassani, direttore generale Fondo Pensioni del Gruppo Banco Popolare conferma performance “in valore assoluto assolutamente eccezionali per la componente equity”, ma riconosce come la soddisfazione abbia “l'amaro in bocca relativo alla componente bond che purtroppo, pur avendo battuto il benchmark, ha avuto il segno negativo davanti”. E sul futuro il professionista focalizza ancora una volta l’attenzione sull’inflazione, indicando come ci siano “elementi che fanno pensare a una strutturalità di questa componente”.
Compagnie assicurative
Un punto di vista differente arriva dalle compagnie assicurative. Carlo Cavazzoni, chief investment officer Vittoria Assicurazioni ricorda che “la particolarità del delle gestioni assicurative è l'asset allocation o come si movimenta questa asset allocation nel corso dell'anno”. La strategia di allocazione, afferma Cavazzoni, “è sempre abbastanza stabile”. “All'inizio dell'anno tipicamente si fa un po’ incetta di attivi a rischio per poi nel corso della seconda parte dell'anno andare a ribilanciare il rischio preso. Questa strategia, se guardiamo negli ultimi 2-3 anni, è stata vincente”. Questo per il 2022 porta a disegnare un portafoglio che certo “non ha immaginato il conflitto” ma basandosi su cosa sarebbe potuto accadere sui tassi di interesse “prevede sempre di investire sulla parte governativa a brevissimo termine così abbiamo fatto anche l'anno scorso e quindi ci siamo evitati il grosso aumento dei tassi di interesse”. Parla di “logiche peculiari” del settore, Simone Francazi direttore investimenti e Finanza Sara Assicurazioni “e sempre ragionando su questi temi occorre ricordare che esiste tutto il mondo solvency che impatta in maniera importante su quelle che sono le strategie di investimento”. L’esperto ricorda le due “verticali” su cui la società che ha cercato di lavorare nel corso dell’anno passato e in quello precedente: “Quelle della duration e della diversificazione di portafoglio, perché è indubbio che rifacendomi alle logiche di solvibilità un portafoglio assicurativo è sostanzialmente caratterizzato da un’esposizione predominante verso il comparto obbligazionario, in particolare con una presenza di una della componente governativa che chiaramente la fa un po’ da padrona”.
Il dilemma dell’inflazione
Su tutto, resta costante l’incertezza legata all’andamento inflattivo. Un andamento, ricorda Alberto Brambilla presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, non “passeggero” e trainato dalle materie prime, che pone nuove incognite sul 2022, aggravato dallo scenario dell’attacco Russo all’Ucraina. In questo come si pone la gestione del debito da parte del nostro Paese? Dubbio a cui risponde in chiusura di convegno Davide Iacovoni, dirigente generale - Direzione II Debito Pubblico, ministero dell’Economia e delle Finanze, che illustra la strategia “caratterizzata da un’intensa attività di funding nella prima parte del 2021 che, unita al miglioramento del fabbisogno, ha consentito di ridurre le emissioni dopo l’estate, in un mercato difficile e volatile” e stima per il 2022 un fabbisogno finanziario del settore statale intorno agli 80/90 miliardi, “a fronte del quale il Tesoro prevede emissioni sul medio-lungo termine di circa 300 miliardi, a cui si aggiungono ulteriori risorse (poco sopra i 20 miliardi)” dal Recovery Fund. In tale contesto, conclude Iacovoni, il rialzo dell’inflazione “ha un duplice impatto di mercato e sulla gestione del debito”. A livello macro legata alle decisioni delle banche centrali “che stanno revisionando le tempistiche dei propri programmi di acquisto di titoli governativi e di incremento dei tassi ufficiali di riferimento”; A livello micro “modificando il relative value tra titoli nominali e titoli indicizzati all’inflazione (misurato dall’inflazione di break-even ricavabile dai titoli indicizzati”. Per questo motivo, conclude Iacovoni, “dopo anni caratterizzati da scarsi volumi di titoli indicizzati nell’intera area Euro, il mercato si sta ora rivitalizzando in termini di domanda di prodotti linkers”.