Ma quelli finiti nelle tasche dei risparmiatori sono la minoranza, dato che le emissioni dedicate ai risparmiatori e distribuite allo sportello sono spesso non quotate e praticamente illiquide. Ecco come è andata nel dopo Brexit.
I bond subordinati delle banche italiane pagano rendimenti stellari. Tra tutti, il riferimento va a quelli più liquidi e tra questi qualcuno è finito nei portafogli dei risparmiatori. Ma sono una minoranza. Dato che le emissioni dedicate ai risparmiatori e distribuite allo sportello sono spesso non quotate e praticamente illiquide. Per esempio, i redimenti che pagano oggi i bond subordinati di MPS si avvicinano al 15% per scadenze a 4 anni, mentre quelli di Veneto Banca sono oltre il 12,5% per scadenze al 2022 e al 2020. Anche BPM e Banco Popolare hanno un bond ciascuno che pagano poco più del 10,8% con un’opzione call al 2017. Solo Mediobanca e Credem offrono rendimenti sotto il 4% per bond subordinati anche a scadenza decennale. A confronto con i BTP, si tratta di rendimenti altissimi.
La situazione è peggiorata dopo la Brexit, ma non così tanto come ci si poteva aspettare, a parte la vicenda MPS, scoppiata dopo la pubblicazione della lettera della BCE che intima al gruppo bancario di ridurre in maniera significativa il proprio NPL ratio nei prossimi tre anni. In altre parole, il mercato da tempo sta dicendo alle banche italiane che i loro titoli subordinati sono più simili all’equity che a un investimento obbligazionario. Nel passato più recente, infatti, si è preferito ricapitalizzare gli istituti ricorrendo a strumenti ibridi di debito piuttosto che a capitale di rischio vero e proprio chiedendo denaro agli azionisti. E ora MPS, che poco più di un anno fa ha chiuso un aumento di capitale da 3 miliardi, in borsa vale 820 milioni. C’è chi comincia a chiedersi, a questo punto, se non converrebbe convertire i subordinati in equity. L’idea potrebbe essere quella di chiedere agli obbligazionisti subordinati “di accettare di modificare il regolamento dei loro bond, introducendo la possibilità di convertire i titoli in equity per chi volesse, con un incentivo fiscale sull’eventuale capital gain che poi ne dovesse derivare”, dice un analista che preferisce non essere citato. In fondo per il governo sarebbe un’operazione neutra, visto che oggi il Tesoro incassa la ritenuta sugli interessi dei bond e un domani incasserebbe la ritenuta sui dividendi, con il vantaggio di non dover materializzare i paventati 40 miliardi per ricapitalizzare le banche, calcolati da Goldman Sachs e da svariate banche d’affari negli ultimi giorni nei loro allarmistici report sulle banche italiane.
A fine ottobre Bankitalia aveva calcolato che le banche italiane avessero emesso bond subordinati per 67,2 miliardi di euro, di cui 8,5 miliardi riacquistati dalle banche emittenti. In sostanza ci sono 59 miliardi di bond subordinati in circolazione e di questi ben 31 miliardi sono stati acquistati da privati. I restanti 28, però, sono in capo a investitori istituzionali italiani o internazionali, i quali potrebbero essere interessati a convertire o a vendere.