Il “whatever it takes” di Mario Draghi. Una eredità che resiste a distanza di dieci anni

Mario Draghi , Bce
Mario Draghi, Bce (Flicker Creative Commons)

Sono passati dieci anni da quando Mario Draghi, alla guida della Bce da qualche mese, ha pronunciato il potente e iconico messaggio “whatever it takes” (Wit). Il 26 luglio 2012, a margine della global investment conference di Londra e nel mezzo della crisi del debito sovrano in Europa, Draghi asseriva: “Nei limiti del nostro mandato, la Bce è pronta a fare qualsiasi cosa per salvare l’euro. E credetemi, sarà abbastanza”. Ribadendo più volte nel corso di quell’intervento l’irreversibilità della moneta unica europea.

Il discorso di Mario Draghi pronunciato in quel determinato contesto di mercato “ha contribuito ad abbassare il costo del debito, soprattutto nella cosiddetta ‘periferia europea’, a rilanciare la crescita, soprattutto nel Nord, e a fermare la spirale di decadenza dell'eurozona” spiega Sebastien Galy, Senior Macro strategist di Nordea AM. Come ricorda l’esperto, quegli anni hanno rappresentato un periodo di forte stress per il mercato del credito, ma anche per molti Paesi periferici, con il crollo del mercato immobiliare, i risparmi a rischio, e con il conseguente consolidamento forzato del settore bancario.

Inoltre, in pochi dubitano che "la dichiarazione di Draghi di sostegno all'euro all'epoca fosse stata fondamentale per una stabilizzazione dei mercati" spiega Daniel Morris, chief Market Strategist di BNP Paribas Asset Management. “Le banche centrali hanno importanti poteri monetari, ma il mercato appariva dubbioso riguardo alla volontà della Bce di utilizzarli. Questo dubbio è stato allora rimosso” commenta. 

La forza delle parole

Il celebre messaggio dell’ex capo dell’Eurotower, secondo Andrea Conti, responsabile Macro Research & Product Specialist di Eurizon, ha segnato una svolta per l’Eurozona “perché ha affermato la volontà politica di difendere l’unità monetaria in un momento in cui davvero era a rischio di saltare. Volontà non tanto e non solo della banca centrale che, ovviamente, è tenuta a tutelare la propria moneta. La vera abilità di Draghi, con il whatever it takes, è stata di lasciare intendere che, nel pieno della tempesta, la Bce aveva il solido appoggio dei governi per difendere l’euro” ribadisce l'esperto.

Una nota di merito va inoltre al lavoro certosino per tradurre le parole in fatti così da interpretare il rigido statuto della Bce in modo flessibile. “Per arrivare a sancire che stabilità dei prezzi non vuole dire solo inflazione bassa e stabile. Ma anche trasmissione efficace della politica monetaria e quindi controllo degli spread”, spiega Conti.

Secondo Galy “la mossa di Mario Draghi è stata, in sostanza, un mix di eccellenti competenze in campo economico e di analisi dalla pratica alla teoria del grande Stanley Fisher del MIT, Banca d'Israele e FMI che ha spinto Ben Bernanke e Mario Draghi a rompere completamente gli schemi del pensiero economico. In Europa, la filosofia economica tradizionale ha bloccato la Bce e molti governi per molto tempo”. Lo scopo di quel discorso era anche quello di ottenere una sorta di accordo politico, “si trattava di una scommessa sul fatto che la popolazione dei Paesi periferici accettasse un periodo di grande difficoltà per riformare radicalmente la propria economia, guadagnando tempo e attenuando l'estrema preoccupazione di quei Paesi” prosegue l’esperto di Nordea AM.

C’è anche chi si sofferma sulla personalità di Draghi e non soltanto sul messaggio che gli è valso l’appellativo di “Super Mario” (associando l’ex governatore all’icona Nintendo protagonista dei popolari giochi). “Draghi continua a essere un esempio a livello internazionale come uomo delle istituzioni, statista, economista e banchiere centrale di ineguagliabile statura intellettuale e morale. Il valore storico di quel momento sta nell’impegno a livello europeo nel perseguire il successo dell’Unione. La moneta unica è sicuramente un aspetto fondamentale di questo processo” spiega Cosimo Marasciulo, head of Fixed Income Absolute Return di Amundi.

Unione europea che, come noto, è stata messa a dura prova in questi ultimi anni, dal 2020 con lo scoppio della pandemia e nei primi mesi di quest'anno con l’invasione della Russia ai danni dell’Ucraina. “Il perseguire in modo determinato l’avanzamento e l’irreversibilità di questi processi è necessario per evitare un ritorno al passato che solo apparentemente potrebbe sembrare una facile soluzione alle difficoltà economiche e geopolitiche che ci circondano. In realtà, il ritorno al passato non è una soluzione perseguibile” dice Marasciulo.

“L’insegnamento di Mario Draghi in questo caso è che a volte questi miglioramenti sono guidati dalle istituzioni, a volte il coraggio e la corretta lettura degli eventi del singolo possono anche essere un importante catalizzatore dell’evoluzione verso un’Unione più forte” aggiunge.

Dal 2012 a oggi…

Nel 2012 ci si muoveva in uno scenario in cui il prezzo da pagare era particolarmente alto per tutti i Paesi dell'Unione. Il discorso del 26 luglio 2012 aveva “lo scopo di ottenere dietro le quinte un accordo politico, in quanto si trattava di una scommessa sul fatto che la popolazione dei Paesi periferici accettasse un periodo di grande difficoltà per riformare radicalmente la propria economia, guadagnando tempo e attenuando l'estrema preoccupazione di quei Paesi. Si trattava essenzialmente di una tassa sui risparmiatori, soprattutto sugli anziani del Nord" spiega Galy.

Il messaggio veicolato da Draghi dieci anni fa è stato interpretato come un vero e proprio atto di coraggio. E secondo Conti quel discorso ha aiutato a passare in modo altrettanto coraggioso le fasi difficili che si sono susseguite nel tempo. “La Brexit ha rafforzato l’Unione invece di indebolirla. Il COVID-19 ha forzato un nuovo passo in avanti, con il Next Generation EU. La risposta unita dell’Europa all’invasione della Russia in Ucraina è stata un'altra prova di compattezza e forza. Una forza che, forse, prima del whatever it takes l’Europa non sapeva di avere” dice. E l’esperto di Eurizon ribadisce che “se oggi, all’inizio di una fase di restrizione monetaria, già solo parlare di misure anti-frammentazione basta per tenere a bada gli spread, è segno che il whatever it takes è pienamente in funzione”.

Il nuovo corso della Bce

Guardando al presente, solo pochi giorni fa, la Bce ha comunicato qualcosa di inaspettato e storico, il rialzo dei tassi di interesse di 50 punti base. Questi, “al di sopra di determinati livelli rischiano di diventare problematici per i Paesi periferici. I livelli di debito sono aumentati più o meno ovunque dalla Crisi finanziaria globale, e l’onere di tale debito diventa più evidente con rendimenti più elevati” commenta Morris.

Sempre in occasione della conferenza stampa del 21 luglio scorso Christine Lagarde ha inoltre annunciato i dettagli del nuovo Transmission Protection Instrument (TPI). “Si prevede che questo strumento garantirà che gli spread e/o i rendimenti dei titoli di Stato periferici non raggiungano un livello tale da creare indebite tensioni sui mercati. Tra il sostegno monetario che la Bce può fornire e ulteriori aiuti fiscali da parte dell'UE (se necessario), riteniamo che alla fine questo obiettivo sarà raggiunto, ma ciò non esclude una certa volatilità nei mercati dei titoli di Stato” sottolinea l’esperto di  BNP Paribas Asset Management.

La domanda è se questo nuovo strumento a disposizione della Banca centrale europea funzionerà. “Impossibile dirlo, anche viste le attuali incertezze politiche a Roma (con la fine del governo Draghi ndr). Le dinamiche non lineari e destabilizzanti hanno la naturale tendenza a essere difficili da prevedere. I mercati potrebbero anche provare a verificare se la banca centrale è ancora disposta e in grado di fare 'tutto il necessario' per preservare l'unione monetaria" conclude Stefan Kreuzkamp, chief investment officer and head of Investment Division di DWS.