La seconda parte della tavola rotonda Alliance Bernstein targata FundsPeople, con primari esponenti della fund selection italiana, si è focalizzata su settori e geografie di maggiore interesse nel fixed income.
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La seconda parte della tavola rotonda Alliance Bernstein targata FundsPeople, con primari esponenti della fund selection italiana, si è focalizzata su settori e geografie di maggiore interesse nel fixed income.
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Il settore obbligazionario sta tornando a offrire rendimenti, suscitando l’interesse degli investitori.
Tuttavia, in questa fase di contrazione dell’economia e di forte volatilità, è più che mai necessario operare per individuare le migliori opportunità.
Il confronto, nel corso della seconda parte della tavola rotonda di Alliance Bernstein targata FundsPeople, si è incentrato sui settori di mercato e le geografie di maggiore interesse in questo contesto, tenendo sempre in considerazione la qualità delle emissioni.
I commenti si riferiscono allo scenario del 24 novembre 2022.
“In genere non abbiamo un posizionamento importante sull’high yield, perché a livello di asset allocation preferiamo muoverci dall’investment grade alle azioni, che su base relativa ci sembrano più appetibili, soprattutto per motivi di liquidità” esordisce Roberta Rudelli, responsabile della fund selection del Gruppo Unicredit. “Pertanto, in questo momento preferiamo il credito investment grade. Nei prossimi mesi, quando avremo maggiore visibilità sia sull’entità del rallentamento della recessione sia in quale misura questa prospettiva sarà stata scontata dai mercati, decideremo se puntare sull’high yield anche considerando i potenziali tassi di ‘default’. In ogni caso” prosegue l’esperta, “la selezione delle singole emissioni è dedicata alle sole soluzioni gestite, come le gestioni patrimoniali, mentre in consulenza privilegiamo i fondi comuni”. A livello geografico, la preferenza ricade soprattutto sull’Europa, considerando che “I nostri clienti preferiscono non assumersi il rischio di cambio negli investimenti obbligazionari. Infatti, le soluzioni globali sono quasi sempre sottoscritte a cambio coperto. In generale, proponiamo fondi di credito investment grade affiancati da soluzioni flessibili nelle quali il gestore può cogliere le diverse opportunità nei segmenti crossover o high yield. In questo modo, l’investitore non ha bisogno di ricalibrare l’asset allocation tra investment grade e high yield al variare delle condizioni di mercato, perché la gestione è interamente delegata ai portfolio manager”. Secondo Rudelli, infatti, il fixed income è un’asset class molto tecnica nella quale i movimenti possono essere estremamente rapidi e quindi necessita di professionisti che sappiano adattare velocemente il portafoglio anche attraverso strumenti di copertura del rischio. “Con la consapevolezza che le soluzioni gestite e la consulenza sono due mondi completamente diversi, sia dal punto di vista delle esigenze dei clienti sia dell’orizzonte temporale, nel tempo abbiamo separato le ‘buy list’ dei fondi raccomandati che sono, in alcuni casi, molto diverse tra loro. Per quanto riguarda il debito emergente, rimaniamo molto cauti perché questo segmento è estremamente sensibile alle decisioni della Fed e all’andamento del dollaro. Per tutte le considerazioni fatte, confermiamo la nostra convinzione che nel reddito fisso è importante affidarsi alla gestione attiva, poiché per navigare nella complessità di questo segmento di mercato è necessario affidarsi a professionisti che sappiano individuare le opportunità ma soprattutto i rischi e che adattino il portafoglio alle mutate aspettative del mercato, competenze che le soluzioni passive non offrono” conclude.
1/4Secondo Federico Senna, Fund Selector and Portfolio Manager di Amundi SGR “L’obbligazionario high yield rischia di essere più impattato dal potenziale deterioramento dei fondamentali durante una possibile recessione, anche se le valutazioni, almeno in parte, incorporano questo rischio. Finora l’attività sul mercato primario è stata molto limitata per quanto riguarda emittenti high yield, supportando quindi gli spread”. Senna osserva come alcune società dovranno quindi tornare sul mercato nei prossimi trimestri, aumentando di conseguenza l’offerta di bond high yield. “Durante i nostri meeting con diversi portfolio manager di case terze abbiamo notato, a livello settoriale, un generale consenso positivo nei confronti dei finanziari.” Secondo Senna i motivi di questo consenso sono diversi: “da inizio anno i corporate bond del settore hanno solo marginalmente sovraperformato rispetto al mercato, ma è anche vero che le banche sono state più attive sul mercato primario, generando una dinamica di domanda - offerta meno favorevole per gli spread. L’aumento dei tassi di interesse migliora la redditività delle banche, che potrebbero anche beneficiare di un potenziale steepening della curva. Infine, il settore è molto più capitalizzato e regolamentato rispetto al passato. Oggi il contesto è cambiato rispetto agli ultimi anni, quando il mercato del credito era dominato da fattori di tipo top-down, su tutti il forte sostegno fornito dalla Bce ai bond europei” prosegue l’esperto “Oggi invece gli spread del credito registrano una dispersione decisamente maggiore, pertanto tendiamo a sovra-pesare fondi dotati sia di un robusto processo di analisi bottom-up sia di un team di credit analyst, in grado di supportare i portfolio manager nella selezione dei singoli emittenti. Durante i meeting e nel corso delle investment due diligence, esaminiamo sempre sia l’interazione tra i portfolio manager e gli analisti, sia la qualità delle risorse che compongono il team, perché probabilmente in futuro sarà sempre più importante essere selettivi, sia per l’investment grade sia per l’high yield”.
2/4Per Paolo Baldessari, responsabile Gestioni Alternative & Bond di Banca Generali, oggi il problema più grande sul mercato del credito è la liquidità, soprattutto per le obbligazioni euro corporate “dove scarseggiano le nuove emissioni. I fondi, dal canto loro, hanno volumi molto elevati di liquidità da investire in nuove emissioni e quando, qualche settimana fa, c’è stata un’emissione Tier 2 di un’importante banca europea, la domanda ha superato di dieci volte l’offerta”. Il manager ritiene che le opportunità oggi non manchino. “In Europa, infatti, si trovano titoli con rating A o BBB con un rendimento del 3,5%, lo stesso che offrivano i titoli high yield, i junk bond, a fine 2021 e inizio 2022. Inoltre, le curve del credito sono praticamente piatte, risulta pertanto avere poco senso assumere posizioni molto lunghe sulla duration. Riguardo ai settori, sono interessanti le emissioni finanziarie subordinate. Alcune settimane fa” argomenta Baldessari “ho letto sul Financial Times che le grandi banche europee hanno 500 miliardi di capitale in eccesso, pari a oltre il 40% della loro capitalizzazione, che in teoria potrebbero distribuire agli azionisti a piacimento, ecco perché si oppongono alle varie proposte di tassazione degli extra profitti bancari che circolano in diversi Paesi europei. Probabilmente il rischio maggiore da cui devono difendersi le banche in questo momento sono i potenziali ‘attacchi’ da parte dei governi”. Dal punto di vista geografico, il manager raccomanda selettività, in particolare quando si parla di mercati emergenti. “Da parte nostra preferiamo concentrarci su pochi Paesi con fondamentali solidi e prospettive positive, come India e Messico. Uno studio del FMI sui mercati emergenti segnala l’esistenza di circa 50 Paesi che rischiano l’insolvenza entro uno o due anni. Potrebbe trattarsi di Paesi piccoli e con una ponderazione modesta negli indici, mercati di frontiera come il Ghana o lo Sri Lanka, non dei principali Paesi emergenti. Ma quando il rischio di default è così alto, ci vuole cautela in fase di selezione degli emittenti. Soprattutto quando la Fed sta drenando liquidità, perché i primi a risentirne sono i mercati emergenti, e in particolare le loro valute”.
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“Il problema della liquidità mi porta a trarre due conclusioni” osserva commenta Vivek Bommi, gestore obbligazionario di Alliance Bernstein. “La prima è che per investire in certi segmenti del reddito fisso è meglio operare tramite fondi. La seconda è che conviene anche cercare di anticipare il mercato. Ad esempio, nel 2009 il mercato HY ha guadagnato il 50% e l’IG il 25% e oltre la metà di questa performance è stata generata nell’arco di sei settimane. Pertanto, se un investitore decide di aspettare può perdere una buona parte della performance del mercato. Nel 2017 il settore high yield è salito del 12 o del 13%, e a sua volta ha registrato la metà di questo rialzo in sole sei settimane”. Inoltre, il gestore ritiene che Fed e Bce siano pronte: “Se pensiamo al marzo 2020, appena sono emersi problemi di liquidità sul mercato obbligazionario” argomenta, “la Fed ha annunciato un piano d’acquisto di ETF. Alla fine neanche un ETF è stato comprato, ma è bastata la notizia a risolvere in un solo giorno tutti i problemi di liquidità del mercato obbligazionario. Se la situazione si ripresentasse, la Fed saprebbe già cosa fare. Al limite, potremmo andare incontro a problemi di liquidità in senso opposto. I fondi comuni hanno ingenti quantitativi di liquidità disponibile. Siamo tutti d’accordo” prosegue Bommi, “che i clienti stanno tornando a investire nel reddito fisso, non solo in Europa, ma in tutto il mondo. Per ora procedono con cautela, ma a un certo punto torneranno in massa sul mercato obbligazionario. I gestori non possono mantenere elevati volumi di liquidità, devono impiegarli sul mercato, quindi si presenterà il problema opposto: gli spread scenderanno e i prezzi saliranno. Sappiamo tutti che i clienti vogliono tornare a investire in obbligazioni, e lo faranno, e secondo me, il primo segmento che tornerà alla ribalta è l’investment grade”. Secondo l’esperto, l’offerta di high yield europei è molto ridotta. “L’85% i questi titoli ha una scadenza a tre anni. Gli emittenti di questo segmento non avranno bisogno di tornare sul mercato nei prossimi tre anni, perché pagano cedole bassissime sulle obbligazioni in circolazione, e non ci sono operazioni di M&A in corso in questo comparto. Le società investment grade e le banche, invece, possono continuare a emettere debito. Il deterioramento dei fondamentali nel settore del credito, sia high yield che investment grade, è sostanzialmente già scontato dal mercato. Non mancheranno alcuni casi di insolvenza: oggi il tasso di default sull’high yield europeo è dello 0,4%, e anche se dovesse salire, secondo noi non supererà il 2-3 per cento. Nei prossimi 12 mesi” prosegue Bommi, “credo sia più opportuno assumere posizioni attive sul rischio di credito più che sulla duration. Sul mercato americano si prevede un calo dei tassi lungo tutta la curva verso la fine dell’anno prossimo (anche se nessuno sembra crederci davvero), e lo stesso vale per l’Europa; quindi magari si può guadagnare qualcosa puntando sulla duration, ma non più di tanto. Sul fronte della qualità del credito, invece, non è necessario scendere troppo lungo la scala dei rating per trovare investimenti validi. Ad esempio, ci sono banche con rating BBB, emissioni bancarie Tier 2 di qualità investment grade: titoli di alta qualità ad alto rendimento. Arriverà anche il momento di puntare sulla duration, probabilmente più avanti nel corso del prossimo anno, quando le banche centrali inizieranno a tagliare i tassi. Troviamo convenienti le obbligazioni bancarie subordinate” continua Bommi, “e ci sorprende vedere che vengono richiamati perfino alcuni titoli con basso reset. Operando con selettività si possono trovare buone opportunità. Un discorso simile vale per gli ibridi corporate. Ad esempio, alcune settimane fa una grande azienda ha richiamato un titolo che sei mesi fa quotava al 90% del valore nominale e l’ha sostituito con debito senior, pur non essendo costretta a farlo. I titoli di credito crossover invece mi sembrano più rischiosi di quanto si pensi e, sebbene entrambi i segmenti mi sembrino validi, preferisco i subordinati bancari a quelli corporate, le grandi banche europee che hanno registrato e continuano a registrare ingenti perdite, ma hanno comunque un elevato capitale in eccesso. Anche diverse banche italiane, come Intesa Sanpaolo e UniCredit, sono in gran forma, hanno risanato i loro bilanci e anche se devono assorbire un elevato livello di capitale non hanno necessariamente un’alta percentuale di prestiti a bilancio. Oggi la loro attività è molto più fee-based che asset-based”. Dal punto di vista geografico, Bommi preferisce guardare i numeri: “per gli investitori europei il rendimento dell’high yield in euro è di circa il 9% e quello dell’high yield USA è del 6%, a causa dei livelli molto elevati dei costi di copertura. Nonostante la situazione economica in Europa, la qualità del mercato HY europeo è di gran lunga superiore a quella del mercato americano. I titoli con rating BB rappresentano il 70% del mercato europeo, contro il 50% di quello statunitense; le obbligazioni CCC europee sono la metà di quelle americane. Pertanto, il mercato europeo appare ancora solido e offre valutazioni molto più elevate: quasi 300 punti base in termini di rendimento e un livello ancora più alto in base allo spread. Un quadro di crescita in rallentamento, dollaro forte e tassi in rialzo non è mai positivo per i mercati emergenti. Prima o poi alcune aree delle piazze emergenti saranno favorite, ma riteniamo che la differenza tra i rendimenti dei mercati emergenti e quelli dei mercati sviluppati sarà molto esigua”.
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