Le valutazioni elevate e i bassi rendimenti rendono il mercato fixed income sempre più ostile. Questo vuol dire che bisogna evitare l'obbligazionario dai portafogli? Se ne parla durante la prima parte della tavola rotonda sul reddito fisso organizzata da Funds People.
I libri di finanza insegnano che in tutti gli investimenti bisogna tener conto del trade off tra rischio e rendimento, quanto più basso è il primo, minore sarà il secondo e viceversa. Eppure ora ci troviamo in un contesto di mercato in cui le regole del gioco sono un po’cambiate, ciò che un tempo era considerato risk free, oggi può nascondere comunque delle insidie. “L’attuale scenario del mercato fixed income è caratterizzato da prezzi alti in cui è molto difficile ottenere delle performance soddisfacenti perché, i bond a scadenza breve in alcuni casi hanno un yield negativo, la volatilità è aumentata e la duration media globale è due volte quella di 10 anni fa. I livelli di rischio sono più elevati, anche le obbligazioni governative che un tempo erano considerate un porto sicuro, ora non lo sono più”, commenta David Roberts, head of Fixed Income di Liontrust.
Questo significa che gli investitori devono evitare del tutto i mercati del reddito fisso nel 2020? Secondo David Roberts la risposta è: “non del tutto”. “Occorre essere selettivi, non limitarsi ad acquisire esposizioni long only sui tassi sovrani, ma è necessario comprendere esattamente il livello di rischio e assicurarsi che le posizioni siano liquide”, aggiunge l’esperto. Per Charles Diebel, head of Fixed Income Strategy di Mediolanum International la domanda da porci è un’altra: “Cosa succederà se le Banche centrali finiscono di iniettare liquidità sui mercati?. Ritornerà il problema della liquidabilità dei titoli e solo in tal caso si potrà vedere dove è maggiormente esposto il rischio asimmetrico nel mercato fixed income”, commenta il manager. “Oggi la difficoltà per gli investitori è capire la correlazione tra le asset class e come queste possono reagire ai singoli macro eventi, se la liquidità inizia a ridursi, si vedranno le varie reazioni al cambiamento”, conclude Diebel.
“In questi anni abbiamo imparato che in un mondo a tassi zero, con una politica monetaria espansiva, i prezzi degli asset tendono ad apprezzarsi oltre i fondamentali, ma questo non succede solo nel mercato del reddito fisso, ma anche in quello azionario e dei real asset, pertanto è diventato sempre più difficile investire in maniera redditizia”, dichiara Carlo Bodo, CAIA, responsabile Obbligazionario Direzione Investimenti di Ersel Asset Management SGR. E non ci sono margini di miglioramento all'orizzonte. “La normalizzazione delle politiche monetarie delle Banche centrali è ancora qualcosa di lontano, per la quale dovremo aspettare almeno la seconda parte del 2020, o più probabilmente l’anno prossimo”, sostiene Diego Cereda, responsabile Fixed Income di Mediobanca SGR. “C’è ancora un’enorme quantità di titoli governativi con un rendimento al di sotto dello zero, a oggi anche il 60% dei bond nel mercato creditizio ha tassi negativi e il 90% un rendimento inferiore a 1%, mentre uno dei principali rischi potrebbe essere il ritorno della volatilità”, afferma ancora Cereda.
Il principale driver rimane la ricerca di rendimento, che in tutti questi anni ha spinto gli investitori a spostare le proprie allocazioni verso asset class che offrono un premio per il rischio, come ad esempio i bond dei Paesi periferici in Europa e una duration più elevata negli USA. “Dato che le Banche centrali nei prossimi mesi manterranno l’attuale politica monetaria espansiva, soprattutto la BCE, la situazione non è destinata a cambiare”, spiega Sergio Bertoncini, strategist del Credito di Amundi SGR. Molto probabilmente il nuovo presidente della BCE si prefigge due obiettivi principali: uno interno e uno esterno. Il primo è quello di ricreare un ampio consenso sulle politiche adottate dall’Istituto centrale europeo e pertanto la sua strategia sarà in funzione di questo, mentre il secondo è di richiamare la necessità di maggiori sforzi sul versante della politica fiscale. “In questi mesi iniziali di nuovi acquisti di titoli e rispetto al QE1, la BCE ha aumentato l’allocazione sui corporate bond, portandola a una componente vicina ad un quarto del totale. È vero che le valutazioni appaiono più care, ma questo è l’effetto di un rapporto particolarmente favorevole tra domanda e offerta, legato anche al QE e alla ricerca di rendimento, e ciò può avere un impatto positivo o stabilizzante sugli spread”, conclude.