L'impatto geopolitico del petrolio così economico

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foto: autor Sr. Samolo, Flickr, creative commons

Qual'è il costo della forte caduta del prezzo del petrolio sulle diverse nazioni, sia esportatrici che  importatrici? Questa domanda è il punto di partenza dell'analisi che Martin Feldstein realizza  sul sito Project Syndicate. Per chi non conosce Feldstein, si ricorda che è professore di Economia alla Harvard University e ha lavorato come consulente in vari campi per tre diversi presidenti degli Stati Uniti: Ronald Reagan, George W. Bush e Barack Obama.

Feldstein inizia la sua analisi ricordando l'importante ruolo svolto dalle aspettative degli investitori e dei produttori nel mercato per questa commodity, fino al punto di presentare dinamiche proprie della domanda e dell'offerta: i produttori di petrolio possono mantenere il livello di offerta se pensano che i prezzi saliranno nel lungo termine o aggiungere un surplus al mercato se pensano che i prezzi possano scendere; parallelamente il modo in cui le compagnie petrolifere possono mantenere lo stesso livello di offerta è riducendo la quantità di estrazioni o aumentare gli stock.

Sulla base di queste osservazioni,  Feldstein afferma che "le aspettative riflesse negli attuali prezzi di mercato rispecchiano una domanda futura più bassa e un aumento dell'offerta". Poi sviscera le due componenti: il previsto calo della domanda riflette nella sua opinione l'attuale debolezza dell'attività economica, in particolare in Cina e in Europa, e più importante, "i cambiamenti a lungo termine nella tecnologia che aumenterà efficienza nei consumi delle automobili e indurrà l'uso di energia solare e di altre fonti non legate al petrolio. "Invece, attribuisce la maggiore offerta alla scoperta di nuovi giacimenti di oro nero grazie alla tecnica del fracking e alle decisioni di Canada e Messico di sviluppare nuove tecniche di estrazione.

Inoltre, lo studioso conclude che l'attuale tendenza dei prezzi di questa materia prima non è condizionata solo dalle aspettative di domanda e offerta futura, ma anche dalle previsioni circa l'evoluzione dei tassi di interesse. "I produttori di petrolio hanno una opzione di investimento: possono aumentare ora la produzione, vendendo il petrolio in eccesso ai prezzi attuali e investire ai tassi correnti, o lasciare il petrolio nel terreno, come un investimento", dice l'esperto. "I tassi d'interesse bassi incoraggiano i produttori a lasciare il petrolio nei giacimenti. Quando i tassi attuali anormalmente bassi delle obbligazioni a lungo termine aumenteranno nei prossimi anni sarà più interessante per i produttori aumentare l'offerta di petrolio e investire il ricavato a tassi più elevati". Così, Feldstein conclude che "a meno che cambino le aspettative sui fondamentali dell'offerta e della domanda futura, l'aumento dei tassi causerà che il prezzo del petrolio scenderà ulteriormente".

Vincitori e vinti

L'economista ritiene che il calo dei prezzi del petrolio sia una buona notizia per gli Stati Uniti, "perché implica maggiori ingressi reali per i consumatori americani". Tra i maggiori perdenti menziona alcuni nomi che sono stati sulla bocca di tutti nelle ultime settimane: Venezuela, Iran e Russia. In un altro gruppo mette l'Arabia Saudita e vari emirati del Golfo: "Anche se sono i principali esportatori di petrolio, differiscono da altri produttori per due ragioni importanti. La prima è che il costo di estrazione è estremamente basso, il che significa che sono in grado di generare profitti ai livelli attuali e anche a prezzi più bassi. La seconda è che le loro enormi riserve finanziarie gli permettono di finanziare le loro attività nazionali e internazionali per un lungo periodo di tempo, cercando di trasformare le loro economie per ridurre la loro dipendenza dal petrolio".

Detto questo, la conclusione di Martin Feldstein è che l'ulteriore caduta del prezzo del petrolio potrebbe avere serie implicazioni geopolitiche, in particolare per la Russia, ma anticipa che potrebbero verificarsi circostanze analoghe a quelle al momento in corso in altri paesi come l'Iran e il Venezuela.