Per la prima volta dopo dieci anni l'Istituto alza i tassi di 25 punti base per controllare l’inflazione. Ma la spada di Damocle della Brexit pende sul futuro dell’economia del Paese.
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C’è stato un tempo in cui la Bank of England (BoE) è stata sul punto di essere la prima Banca centrale di un Paese sviluppato ad alzare i tassi d’interessi. È quasi successo nel giugno del 2014, quando a permetterlo era un contesto economico in miglioramento nel Regno Unito. Poi l’evolvere delle condizioni macro e gli eventi politici che hanno portato alla Brexit hanno fugato questa possibilità.
Ieri, invece, dopo ben dieci anni dall’ultimo intervento, la Monetary Policy Committee della BoE ha votato a favore di un rialzo dei tassi di 25 punti base, portandoli allo 0,5%. E paradossalmente, il fattore scatenante di questa decisione è stata l’impennata dell’inflazione – che ha toccato quota 3% a settembre – provocata dal crollo della sterlina. Resta, invece, invariato il programma di acquisti da 435 miliardi di sterline e gli acquisti di corporate bond per 10 miliardi.
Una decisione già scontata dai mercati che, viste le dichiarazioni rilasciate dall’istituo centrale in occasione del meeting precedente, avevano già ampiamente incorporato la stretta monetaria nelle valutazioni degli asset finanziari. “La reazione dei mercati al rialzo dei tassi è stata ancora una volta molto contenuta. Il tono accomodante sull’economia e sull’inflazione, oltre alle indicazioni sul futuro, lasciano presagire uno scenario sostanzialmente stabile per il prossimo futuro”, ha commentato Paul Hatfield, global chief investment officer di Alcentra (BNY Mellon IM).
Sono diversi gli esperti del settore che concordano sul fatto che la mossa della BoE sia in realtà più rilevante a livello simbolico che per il suo impatto economico e che il ciclo restrittivo sarà molto limitato e graduale. Tra questi Lucy O’Carroll, chief economist di Aberdeen Standard Investments, per cui la decisione della Banca “annulla soltanto il taglio fatto dopo il referendum sulla permanenza nell’UE che aveva l’obiettivo di prevenire qualsiasi ricaduta económica”.
“I tassi d’interesse nel Regno Unito”, spiega l’esperta, “sono ancora eccezionalmente bassi secondo la media storica. Il rischio è che questo sia interpretato come l’inizio di un ciclo di rialzi dei tassi, cosa che potrebbe minare la fiducia dei consumatori in un momento particolarmente vulnerabile per l’economia. L’inflazione è cresciuta notevolmente ma per effetto di fattori temporanei e né i salari né i prezzi stanno crescendo molto, quindi a questo punto ulteriori rialzi sostanziali dei tassi non sarebbero giustificati”.
E poi c’è sempre il fattore Brexit. “Questo piccolo rialzo dei tassi non lascia molto spazio a tagli aggressivi se l’economia dovesse cambiare rotta”, continua O’Carroll. “La Banca centrale potrebbe riprendere l’allentamento monetario ma gli strumenti a disposizione sono praticamente esauriti”.
Tra strette e rialzi futuri
Howard Cunningham, gestore obbligazionario di Newton IM (BNY Mellon IM), si sofferma sul fatto che tanto il comunicato del meeting quanto il tono della conferenza stampa riflettono “la fiducia degli ufficiali del MPC in merito alle motivazioni del rialzo dei tassi ma questo non significa necessariamente che si affretteranno lungo la strada della stretta monetaria”. L’esperto, inoltre, ricorda che ci sono stati due voti contrari e che la previsione della BoE parla di solo altri due rialzi nel corso dei prossimi due anni. Un dato inferiore a quello delle aspettative dei mercati che spiega il crollo iniziale della sterlina e l’apprezamento dei gilt dopo l’annuncio.
“A nostro avviso, invertire il percorso di tagli emergenziali ai tassi è una decisione appropriata, sia per dissipare la noncuranza di chi si aspetta che le politiche monetarie resteranno accomodanti in eterno, sia per segnalare che un eccesso di inflazione non verrà tollerato”, spiega Cunningham. La previsione dell’esperto è che un’ulteriore stretta non sarà imminente e che l’inflazione inizierà presto a calare, anche a fronte dell’incertezza sulla Brexit che potrebbe pesare sull’attività economica.
La pensa diversamente Anthony Doyle, head of fixed income business development di M&G Investments, secondo cui “il peggio deve ancora venire”. L’esperto, infatti, prevede “segnali crescenti di rallentamento degli investimenti, un crollo della fiducia dei consumatori e debolezza económica a meno che non venga raggiunto un accordo materiale o di transizione sul futuro della relazione commerciale tra Regno Unito e UE”. Parallelamente, si dice preoccupato per la possibilità che l’inflazione sfugga di mano nel futuro, sebbene ritenga che tutto sommato il rialzo dei tassi “avrà un effetto limitato sull’economia reale”, perché la Banca centrale ha mantenuto la sua posizione accomodante e perché i tassi reali sono ancora negativi.
Jeremy Lawson, chief economist di Aberdeen Standard Investments, crede che la BoE avrà la possibilità di aumentare i tassi al massimo tre volte nel corso dei prossimi anni dato che le incertezze sulla Brexit, il basso potenziale di crescita e l’elevato livello di credito ai consumatori limiteranno i tassi di interesse che l’economia può assorbire senza ripercussioni.
Secondo Neil Williams, chief economist di Hermes Investment Management, quello della BoE è stato un tentativo di “mostrare i muscoli piuttosto che dare inizio a una stretta aggressiva, una mossa che agli occhi dell’MPC offre maggior spazio di manovra sui tassi qualora l’economia dovesse ricominciare a rallentare”. In assenza di una ripresa dei salari reali, che sono stati spremuti per un decennio, l’esperto dubita che la BoE continuerà ad aumentare i tassi in modo aggressivo. La speranza della Banca è che la produttività inizi a crescere a partire dal 2018, giustificando così rivendicazioni salariali più elevate. “Se questo non dovesse accadere, la BoE farà bene a incrociare le dita”, conclude l’esperto.