La Cina inizia a perdere colpi

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Russ Bowling

Negli ultimi mesi la Cina sta attirando verso di sé le attenzioni dei mercati finanziari, perché si iniziano ad intravedere i segnali di debolezza della potenza orientale che potrebbero rallentarne la crescita economica.

Le tensioni commerciali con gli Stati Uniti arrivano in un particolare momento per la Cina, che sta attraversando un importante processo di deleveraging interno. Il governo sta cercando di contenere l’indebitamento attraverso un downgrade del settore pubblico e l’inasprimento delle condizioni di credito, nonché attraverso procedure fallimentari più trasparenti ed efficaci che consentirebbero alle imprese di gestire le insolvenze dei prestiti e delle obbligazioni. Chris Iggo, CIO Fixed Income di AXA Investment Managers, ritiene che “sia un compito immane che certamente comporta dei rischi. Per gli investitori più pessimisti persiste dunque il rischio di ‘hard landing'. II calo dei rendimenti obbligazionari in Cina e l’indebolimento della valuta riflettono la minaccia alla crescita di un’economia che sta facendo fatica a ridurre la sua dipendenza da un modello basato sulle esportazioni industriali”, aggiunge l’esperto.

Secondo Léon Cornelissen, chief economist di Robeco, “la Cina ne risentirebbe maggiormente di una vera e propria guerra commerciale con gli USA”. Se dovesse innescarsi un vero conflitto commerciale con gli Stati Uniti, caratterizzato da un botta e risposta tra i due Paesi, “il Dragone Rosso potrebbe non essere in grado di rispondere a tono, visto che, in termini assoluti, le importazioni dagli USA sono nettamente inferiori. In compenso, probabilmente, inasprirà le tensioni complicando la vita alle società americane che operano in Cina. In previsione di una simile escalation, la Cina ha lasciato che lo yuan si deprezzasse di oltre il 3%. Le autorità cinesi ritengono di poter tranquillamente compensare il 25% di dazi svalutando lo yuan, e non prevediamo ulteriori deprezzamenti perché sarebbero contrari all’interesse economico della Cina”, commenta l’economista.

Inoltre, “l'accrescere del nervosismo legato ad un futuro rialzo dei tassi di cambio potrebbe facilmente incrementare le fuoriuscite di capitale, imponendo una stretta monetaria e più severi controlli sui capitali”, spiega Cornelissen. “Questo però ostacolerebbe la liberalizzazione dei capitali e l’internazionalizzazione dello yuan auspicate dalle autorità cinesi: eventuali ulteriori pressioni in questo costituirebbero un passo indietro. In più, l'economia cinese è indebolita dalle misure restrittive che incombono sul mercato del credito e, pertanto, qualsiasi aumento dei tassi di interesse finalizzato a ulteriori inasprimenti sarebbe controproducente”, sottolinea il manager.

Con questo scenario, al momento, sembrerebbe che la Cina sia destinata ad uscire sconfitta da una guerra commerciale con gli USA, sarà necessario allentare le politiche monetarie e cercare di dare segnali positivi di crescita al mercato.