Nascita ed evoluzione del consulente finanziario, punto di riferimento per la gestione del patrimonio di famiglia.
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Negli anni Ottanta, il consulente finanziario era considerato alla stregua di un venditore. Al tempo non esistevano le management fee e svolgeva attività di agente monomandatario.
In quegli anni era nato il cosiddetto ‘conto fondo’, ossia quel servizio che, quando il conto corrente saliva sopra a una certa cifra, investiva automaticamente i soldi nel fondo obbligazionario. “Allora si disincentivava la liquidità nei portafogli perché l’inflazione era al 20% e c’era la paura di tenere i soldi sul conto corrente”, spiega Massimo Scolari, presidente di Ascosim. Negli anni Novanta è cambiato il sistema di retribuzione e sono state introdotte le commissioni di gestione. Da quel momento in poi, con l’avvento dell’architettura aperta, il pubblico ha cominciato a riconoscere che il consulente finanziario non era più un semplice rappresentante. Non si trattava più, infatti, di un lavoro che potessero fare tutti, perché era necessario conoscere sia i prodotti venduti sia i mercati finanziari.
“Noi svolgiamo questo servizio di consulenza a pagamento dal 1997, siamo stati i primi in assoluto a regolamentare un servizio di consulenza remunerata dal cliente, e il tutto in assenza di conflitto di interesse” dice Daniele Albini, direttore commerciale di Sol&Fin. Già alla fine degli anni Novanta, Consultique ha cercato di portare in Italia la consulenza indipendente sul modello americano, il fee only. “Abbiamo creato una realtà che potesse aggregare alla consulenza indipendente una serie di servizi di supporto e assistenza per chi avesse voluto intraprendere questo tipo di professione”, afferma Luca Mainò, co-fondatore di Consultique.
Gli strumenti e i servizi creati a disposizione di questi soggetti erano legati alla contrattualistica, al tariffario, la metodologia di prestazione del servizio di consulenza, l’analisi, l’ufficio studi, la piattaforma dove ogni professionista poteva trovare gli strumenti di base. Il ruolo del consulente finanziario si è evoluto ulteriormente tanto che svolgeva non solo attività di vendita ma anche di asset allocation.
In attesa dell’albo
Con la crisi la professione è diventata ancora più difficile e la sfiducia degli investitori ha fatto una selezione naturale dei consulenti meno preparati. Intanto, nel 2007, anno in cui nel nostro Paese è stata recepita la MiFID I, almeno dal punto di vista teorico è stato creato l’albo dei consulenti finanziari indipendenti, che doveva essere slegato da quello dei promotori finanziari. Alla fine però non è mai stato reso operativo, creando un congelamento dell’attività. “Solo ora con MiFID II pare che la cosa si sia sbloccata, con l’integrazione all’interno dell’albo dei consulenti finanziari di una sezione per le persone fisiche ed una per le persone giuridiche, che prestano la consulenza finanziaria indipendente”, commenta Mainò.
Dal 2000 al 2007 il mercato si è comunque sviluppato ed è cresciuta la domanda di consulenza finanziaria indipendente. All’intero del sistema distributivo sono aumentati i soggetti che fanno consulenza slegata dalla distribuzione. Dall’aprile 2018 ci sarà l’iscrizione dei primi pionieri della consulenza, e tra ottobre e dicembre l’albo diventerà operativo a tutti gli effetti. Al giorno d’oggi il consulente finanziario è un professionista a tutti gli effetti che deve avere uno spirito imprenditoriale con spiccate doti relazionali e una conoscenza dei prodotti e mercati adeguata.
“Oggi fare una consulenza di qualità è certamente più semplice, il cliente è più preparato, ci sono più informazioni disponibili sui mercati, sui prodotti, sui gestori, e la tecnologia aiuta parecchio; la cosa più difficile è come fare capire al cliente che sta usufruendo di un servizio qualificato, diverso da quello che può ricevere alle Poste o in qualche banca, e che deve essere remunerato separatamente” commenta Albini. “I nostri consulenti avevano - e tuttora hanno - la possibilità di presentare in modo indifferenziato ciò che è più favorevole per il cliente, e se il prodotto poi perdeva di competitività, erano liberi di poterlo tranquillamente sostituire”.
Il consulente del futuro
Secondo Luca Mainò ci sarà un aumento dei consulenti indipendenti e le persone che lavorano nel settore da anni potrebbero decidere di utilizzare le loro competenze per dedicarsi ad un servizio, creando la propria realtà che può essere uno studio o una società di consulenza finanziaria. Dall’altro lato ci sarà una crescita d’interesse per questo tipo di consulenza, non solo da parte dei clienti con patrimoni di una certa dimensione, ma anche clienti interessati ad un proprio percorso personale sull’approfondimento di tematiche finanziarie.
“Importante è cercare di prendere in esame il tema della fiducia e, in Italia, il ruolo delle banche rimane centrale. Negli altri Paesi europei ci sono molte più SIM rispetto al nostro Paese. Noi abbiamo una massa di risparmio ingente e secondo Banca d’Italia gli italiani si fidano ancora più della banca. Secondo me non è solo una questione di fiducia, ma anche di comodità”, spiega Scolari. Tra i rischi maggiori dell’introduzione di MiFID II ci sono le politiche di remunerazione doppie: le commissioni retrocesse alle reti con l’aggiunta di una parcella di consulenza. “Questo non è in linea con la Direttiva europea, perché le retrocessioni sono già una remunerazioni che va a giustificare il servizio di consulenza”, sostiene Scolari.
La prassi della doppia remunerazione per il medesimo servizio era già stata presa in considerazione da Consob nelle gestioni patrimoniali con la MiFID I. Con l’introduzione della normativa bisogna far capire al cliente il valore aggiunto della consulenza finanziaria e far entrare nella mentalità degli italiani il sistema a parcella. “Anche perché chi si è mai posto il problema di pagare il giusto compenso all’avvocato che ti ha seguito? O al commercialista che ti ha risolto i problemi con il fisco? O al medico che ti ha guarito da una malattia?” si domanda Albini.
Educazione finanziaria
Un altro tema centrale della MiFID II è l’educazione finanziaria. Secondo Daniele Albini si tratta di una questione che “non riguarda solo il risparmiatore: è necessario aumentare il livello di professionalità di chi opera a contatto con il cliente”. La cultura finanziaria in Italia è il risultato di un sistema bancocentrico.
“La pubblicità di rendimenti ha diseducato una generazione, che è stata abituata a guardare solo il risultato a breve termine. I bot ed i titoli di Stato hanno illuso per molti anni i risparmiatori che desideravano una remunerazione senza alcun rischio”, commenta Scolari. Per una buona educazione finanziaria è opportuno abbandonare la retorica e capire che l’Italia è cambiata, anche perché sempre più integrata in un contesto europeo. I consulenti giovani dovranno essere molto più preparati per affrontare questa sfida.