Vincolare il pagamento delle commissioni alle performance dei fondi. È questa la strategia che alcuni asset manager stanno implementando per far fronte al crescente successo della gestione passiva.
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Quello delle commissioni è sempre un tasto delicato da toccare quando si parla di investimenti in fondi, un argomento al quale sia asset manager sia clienti prestano sempre particolare attenzione, specialmente in un momento storico nel quale l’appeal esercitato dalla gestione passiva è particolarmente forte. Basti pensare che negli Stati Uniti gli ETF e i fondi indicizzati rappresentano già il 40% del totale degli asset gestiti dall’industria mentre in Europa la percentuale si aggira intorno al 13%, evidentemente più bassa ma non per questo meno preoccupante. Dati che confermano, su entrambe le sponde dell’Atlantico, una tendenza crescente e che assume per molti asset manager i caratteri di una minaccia. È per questo che molte società di gestione a livello globale hanno deciso di intervenire, rivalutando i propri modelli commissionali per aumentare il proprio livello di competitività. A muoversi per prime sono state AllianceBernstein, Fidelity e Allianz Global Investors.
L’obiettivo condiviso dagli asset manager è allineare gli interessi dei gestori e quelli dei loro clienti retail, vincolando la riscossione delle commissioni alle performance dei prodotti. Nell’ultimo anno, ad esempio, Allianz GI ha iniziato a impiegare un nuovo e più semplice modello di commissioni che si basa sul principio di riscossione delle stesse per i prodotti che siano riusciti a offrire un rendimento superiore a quella del benchmark. Un modello che l’entità applicherà su alcuni fondi il cui indice di riferimento è il cash. Lo hanno già fatto per alcune strategie retail commercializzate negli USA e stanno pensando di farlo nei prossimi mesi anche nel Regno Unito.
Stesso discorso per Fidelity che applicherà il sistema di commissioni variabili ai suoi fondi azionari a gestione attiva. La commissione introdotta aumenterà o si abbasserà simmetricamente in base alla performance registrata dal fondo rispetto all’indice diriferimento. “Si tratta di una duplice strategia per condividere il rischio e il rendimento: quando otterremo rendimenti superiori al benchmark si condivideranno i profitti mentre se il rendimento è uguale o inferiore a quello dell’indice la commissione sarà più bassa”, spiegano da Fidelity.
“Siamo convinti della nostra scommessa sulle capacità della gestione attiva e vogliamo dimostrarlo così. Ci allontaneremo dal sistema di commissioni fisse e la nostra remunerazione dipenderà dai risultati che raggiungeremo. Così facendo, i nostri guadagni saranno più allineati con il comportamento dei fondi dove investono i nostri clienti: le nostre commissioni si ridurranno se non battiamo l’indice”, assicura Brian Conroy, presidente di Fidelity International. Una decisione che trova spiegazione nel concitato dibattito sul valore della gestione attiva e che si affianca alla tendenza di ridurre le commissioni di gestione che negli ultimi anni si sta apprezzando nel settore, soprattutto statunitense.
Uno studio condotto da Morningstar proprio negli Stati Uniti ha rivelato che alla fine del 2015 il TER medio ponderato per patrimonio (esclusi i fondi monetari e i fondi di fondi) è stato dello 0,61%, il livello più basso della storia. Nel 2014 era dello 0,64% e cinque anni fa dello 0,73%. Un trend che si sta imponendo da 15 anni a questa parte. Negli USA le entità stanno riducendo significativamente le commissioni sui loro prodotti migliori, soprattutto in quelli più grandi. Così ha fatto Capital Group, ad esempio, per alcuni dei suoi fondi più ingenti, anche quando questi hanno sperimentato deflussi. In Fidelity, invece, la commissione media ponderata per asset è scesa di 16 punti base tra il 2010 e 2015 dopo che la società ha deciso di ridurre i costi del Fidelity Contrafund, il prodotto della casa con maggior patrimonio.
E l’elenco non finisce qui. BlackRock, J.P.Morgan AM, Franklin Templeton e T.Rowe Price adesso applicano commissioni più basse rispetto a quelle di cinque anni fa. “In alcuni casi questa riduzione ha avuto a che fare con l’aumento degli asset, in altri è stata una strategia implementate per essere più competitivi”, ha commentato Patricia Oey, analista di Morningstar.