La volatilità s'impossessa delle obbligazioni

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Jack Hamilton, Unsplash, Creative Commons Zero

La volatilità è considerata da sempre il principale metro di misura del rischio. Più essa è alta, più è rischioso l’investimento che si sta per effettuare e viceversa. E storicamente è stato sempre il mercato azionario ad essere più volatile di quello obbligazionario…almeno fino a oggi. Per la prima volta, infatti, le carte si sono invertite. La volatilità delle azioni a fine agosto e a inizi settembre ha registrato dati più bassi rispetto a quella delle obbligazioni. E questo non perché la volatilità nei mercati obbligazionari sia aumentata in modo significativo, ma perché quella delle azioni è calata ai minimi storici per via delle politiche monetarie implementate principalmente da Fed, BCE, Banca del Giappone e Banca d’Inghilterra.

“Tra le conseguenze dell’azione delle Banche centrali vi è che la volatilità a 12 mesi delle obbligazioni a livello globale (misurata dall’indice BBgBarc Global Aggregate TR USD) si è attestata al di sopra della volatilità a 12 mesi delle azioni a livello globale (misurata dall’indice Morningstar Global Markets NR USD)”, spiega Fernando Luque, senior financial editor di Morningstar. Un’affermazione dimostrata dal grafico sottostante con dati in dollari, nel quale è possibile osservare che la volatilità del mercato azionario globale è calata tanto da far sì che, per la prima volta nella storia, la volatilità dell’indice globale obbligazionario superasse quella dell’indice azionario. E comunque questo non vuol dire che gli investitori possano dormire sogni tranquilli.  

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Come spiega Richard Turnill, global chief investment strategist di BlackRock, si registra un nervosismo crescente tra gli investitori. “L’indice CBOE Volatility Index (VIX), un indicatore della volatilità dell’indice S&P 500, ha registrato oscillazioni giornaliere del 30% in due degli ultimi dieci giorni del mese di agosto. Il ratio di interesse nelle put options rispetto alle call options nell’azionario statunitense (linea azzurra) è aumentato fino a livelli che non si vedevano dalle vendite massicce registrate dal mercato a fine 2015, il che sottolinea l’impeto degli investitori nella loro ricerca di copertura in caso di crolli. Anche il ratio put/call nell’azionario tedesco (linea verde) è aumentato”, rivela l’esperto.

Ma perché gli investitori dovrebbero sentirsi agitati? La ragione potrebbe essere individuata negli USA e nella condiscendenza mostrata finora dagli investitori riguardo all’impatto che potrebbe avere sul mercato la decisione della Fed di normalizzare il suo bilancio, soprattutto considerando che il rendimento dei titoli di Stato americani a 10 anni è ai minimi dall’annuncio del piano di normalizzazione avvenuto lo scorso 14 giugno. Il punto è se la liquidazione dei treasury e degli MBS nelle mani della Fed sia veramente un evento senza importanza come lo dipinge Janet Yellen o possa produrre un “tightening tantrum” nel mercato ed esercitare una pressione rialzista sui tassi nel lungo termine, ampliare gli spread degli MBS e aumentare l’inclinazione della curva dei rendimenti, indica Zane Brown, partner e fixed income strategist di Lord Abbett.

Dall’altro lato è sempre presente il rischio geopolitico, in questi momenti ai massimi per la crisi nucleare con la Corea del Nord. “Un attacco o azione nucleare concreti potrebbero far collassare i mercati per la volatilità”, sostiene Claus Nielsen, head of markets di Saxo Bank. Il rischio di un conflitto bellico sta portando molti asset manager ad adottare misure per proteggere i clienti, nel tentativo di controllare meglio il rischio. Nel caso dell’entità danese, ad esempio, sono stati incrementati i margini richiesti per operare in divise e CFD per ridurre il rischio di fronte all’elevata volatilità potenziale, i rapidi movimenti di prezzo o i vuoti di mercato che possano verificarsi in caso di aumento della tensione geopolitica.

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