Gli esperti vedono necessaria un'ulteriore correzione della divisa e prevedono che sarà scambiata alla pari con l’euro (se non col dollaro) nel 2017.
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Il flash crash della sterlina di qualche settimana fa continua a far parlare: come conseguenza della forte svalutazione che sta sperimentando la divisa (-18% dalla Brexit), l’inflazione nel Regno Unito è salita fino all’1%, un livello che non si vedeva dal novembre del 2014. Mark Dowding, co-head of investment grade di BlueBay, calcola che potrebbe arrivare fino al 4% nel 2017, in parte a causa dell’aumento del petrolio denominato in sterline (stima un apprezzamento superiore al 100% infrannuale per gli inizi del 2017) e in parte per l’incremento dei prezzi di importazione. Si pensi alla recente polemica che ha visto protagonista la catena di supermercati inglese Tesco, che aveva deciso di non fare rifornimenti di prodotti che iniziavano a scarseggiare, come la crema spalmabile Marmite (importata dall’Australia), dopo la decisione di Unilever di aumentare i prezzi.
“Gli investitori internazionali hanno venduto asset britannici mentre la Banca d’Inghilterra non vuole né è capace di agire per impedire il crollo della quarta divisa più utilizzata nelle transazioni a livello globale”, affema Dowding. Nonostante la sterlina sia quotata a livelli del 1985, l’esperto crede che esiste ancora margine di caduta: “I titoli negativi sui giornali del Paese (si pensi ai commenti di Nicola Sturgeon sull’indipendenza della Scozia), il peggioramento dei dati economici e il sentimento negativo sull’altro versante del Canale stanno rendendo sempre più complicato il compito del Regno Unito di finanziare il suo deficit delle partite correnti. Crediamo che il consumo nel Regno Unito avrà bisogno di una forte correzione. Una sterlina al ribasso farà adeguare i prezzi ma i consumatori hanno meno soldi da spendere e tutto fa pensare che si tratterà di una correzione dolorosa”, avverte l’esperto.
Il movimento della divisa ha avuto effetti importanti anche sul mercato dei gilts, le obbligazioni sovrani britanniche: “Gli investitori hanno rivisto i prezzi dei gilts seguendo il rialzo delle aspettative di inflazione nel Regno Unito causato da una sterlina più debole come conseguenza delle preoccupazioni per un “hard Brexit” – motivate dai commenti nella riunione del partito conservatore durante la prima settimana di ottobre – spiegano da J.P.Morgan AM. Considerando questi movimenti, dalla società di gestione indicano che “è molto importante diversificare a livello globale l’esposizione ai titoli di Stato dei mercati sviluppati, in un momento in cui le politiche governative possono avere più ripercussioni sui mercati rispetto a quelle delle Banche centrali”.
Julien-Pierre Nouen, deputy chief economist di Lazard Frères Gestion, attribuisce al duro discorso di Theresa May durante il congresso del Partito conservatore la forte correzione in tempi record sperimentata dalla sterlina. Anche se la divisa ha recuperato un po’ di terreno una volta resi noti i dati dell’inflazione, Nouen afferma che “la caduta è ancora lontana dal toccare il fondo”. Inoltre, spiega che nonostante il forte deprezzamento “il tasso di cambio effettivo reale della sterlina non è molto più economico che nel 2011-2013 e sarà necessario un calo più marcato per ridurre il deficit delle partite correnti che è ancora notevole (-5,7% del PIL in dodici mesi accumulato alla fine del secondo trimestre del 2016)”.
Tinker fa l’esempio degli investitori asiatici: “Ai loro occhi il Regno Unito è diventato un posto molto più interessante da visitare. Se questo genera un eccesso di domanda, allora gli sconti scompaiono e i prezzi aumentano".
Il responsabile si sofferma anche sull’impatto della divisa sui fondi d’investimento: “È un anno particolarmente positivo per qualsiasi investitore in sterline che investa in obbligazioni e azioni estere. In Asia, per esempio, un investitore in sterline potrebbe aver sperimentato ritorni nell’azionario di un ETF dell’Asia (escluso Giappone) di quasi il 35% durante l’anno”.