Le misure fiscali dei Governi per l'emergenza Coronavirus. Cosa ne pensano i gestori internazionali

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Caleb Perez, unsplash

Nella crisi legata all’emergenza Coronavirus la palla passa ai Governi e alle politiche fiscali. Negli Stati Uniti è stato raggiunto l’accordo tra la maggioranza repubblicana e i Democratici per un piano di rilancio dell’economia da 2.000 miliardi di dollari. La manovra, ancora in fase di approvazione, prevede assegni diretti da 1200 dollari a tutti i cittadini, più altri 500 dollari per ogni bambino, a cui sommare altri stanziamenti a favore della sanità e piccole imprese. La mossa del Governo USA arriva in aggiunta alle misure di politica monetaria già adottate dalla Fed che ha varato un QE illimitato esteso ad obbligazioni societarie e prestiti comuni.

Sul versante europeo la scorsa settimana la Banca centrale è intervenuta con un programma di acquisto di titoli da 750 miliardi di euro, il PEPP (Pandemic emergency purchase programme). A ridosso dello scoppiare dell’emergenza, i Governi dell’area euro erano intervenuti singolarmente con dei piani di aiuto, sostenuti dalla sospensione il Patto di Stabilità sui deficit in bilancio. Ora in seno all’Eurozona si discute a livello politico per una risposta congiunta alla crisi. Sul tavolo delle trattative, delle linee di finanziamento tramite gli strumenti esistenti del Meccanismo europeo di stabilità (MES) o l’emissione di obbligazioni comuni straordinarie, i cosiddetti 'corona bonds'.   

Le mosse degli USA

A seguito del pacchetto di aiuti da 2.000 miliardi di in arrivo negli USA, Oliver Blackbourn, Multi-Asset portfolio manager di Janus Henderson Investors, si domanda se la misura sarà sufficiente a far risalire i mercati. “Il pacchetto dovrebbe contribuire ad alleviare i timori sui peggiori risultati economici possibili per i singoli e le aziende”, spiega Blackbourn. “Tuttavia la prossima questione significativa con cui i mercati avranno a che fare sarà probabilmente un picco di casi di virus negli Stati Uniti”, afferma il portfolio manager. “I responsabili politici possono fare tutto il possibile per attutire il colpo, ma non sono preparati ad affrontare uno shock combinato di domanda e offerta di questa natura”, avverte.

Dello stesso avviso James McCann di Aberdeen Standard Investments. "Si tratta di un enorme pacchetto di stimoli", spiega il senior global economist, "ma non può evitare la recessione in arrivo. Si spera tuttavia che funzioni da firewall per rallentare la diffusione di questa crisi nell'economia ed evitare che si impadronisca del sistema finanziario", dichiara.

Cosa può fare l'Europa? 

Dal lato opposto dell'Atlantico secondo Willem Verhagen è necessario un cambio di paradigma politico. “Una ripresa durevole richiederà una risposta politica completamente elastica”, spiega il senior economist di NN Investment Partners, “per evitare che i bruschi cali dei flussi di cassa delle imprese e delle famiglie inneschino un'ondata di fallimenti nell'economia reale”.  Un segnale positivo per Verhagen arriva dal fatto che anche la Germania, da sempre sostenitrice di politiche di rigore, abbia sospeso il freno costituzionale al debito, un fatto, ammette l’economista, “impensabile qualche mese fa”. Tuttavia aggiunge Verhagen, “una misura di protezione a prova di bomba però è ottenibile solo utilizzando il Meccanismo Europeo di Stabilità o creando un nuovo fondo che raccolga i rischi fiscali legati alla lotta alla crisi e si finanzi con quella che potrebbe essere una versione preliminare degli Eurobond”.

Nicola Mai, Konstantin Veit e Peder Beck-Friis di PIMCO sono cauti sull’aspettarsi una risposta fiscale a livello paneuropeo: “Non siamo convinti che optare per linee di credito condizionate e programmi del MES sarebbe una soluzione efficace in questo contesto. Allo stesso modo, riteniamo che l'appetito politico per le obbligazioni comuni sia limitato in questa fase”, avvertono. “Questo non deve essere un grosso problema, a condizione che i governi nazionali siano pienamente coinvolti e che i loro bilanci siano ancorati in modo convincente all'azione della BCE”, sostengono.

Piccole e medie imprese a rischio 

Secondo le stime di Moody’s il PIL dell'area euro nel 2020 segnerà una flessione del 2,7%, con un tonfo del 5,7% nel primo trimestre e del 7,4% nel secondo trimestre. Poco confortanti anche le letture preliminari dell’indice PMI composito dell’Eurozona scivolato a 31,4 punti, più basso rispetto al consensus di 38,4 e inferiore al minimo raggiunto a febbraio del 2009, pari a 36,2.

Joseph V. Amato, president e chief investment officer of equities, di Neuberger Berman esprime timori per gli impatti che la recessione potrebbe avere su occupazione e piccole imprese. “Lo shock della domanda a cui stiamo assistendo solleva un interrogativo crudo e brutale: la liquidità di bilancio è sufficiente per coprire le spese per tre mesi? Per numerose piccole e medie imprese di tutto il mondo, poco importa quanto prudenti siano state, la risposta è negativa”, avverte.