Il tema è stato al centro del webinar organizzato da Altis il 5 maggio. Presentata anche una ricerca di Anima sull’applicazione del documento CEI nell’investimento di diocesi, arcidiocesi e istituti cattolici.
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La Chiesa cattolica accelera sui temi del risparmio sostenibile e si pone in dialogo diretto con gli attori del settore. Un dialogo avviato da tempo, sulla scia dell’enciclica “Laudato sii” di papa Francesco, con la definizione delle Linee Guida della Conferenza Episcopale Italiana che hanno stabilito principi e strumenti per consentire a diocesi, arcidiocesi, fondazioni e istituti religiosi di identificare i prodotti finanziari coerenti con i propri valori rispettosi dei fattori ESG. Il tema è stato analizzato nel corso del webinar “Enti Cattolici, investimenti e valori. Dalla teoria alla pratica”, organizzato da Altis Università Cattolica il 5 maggio, e occasione per la presentazione della ricerca “Valore e Valori” di Anima SGR sulle scelte di investimento degli enti religiosi alla luce delle Linee guida CEI.
La ricerca di Anima
Parla di “risultati interessanti per quanto riguarda lo stato dell’arte e per gli spunti offerti ai soggetti privati, come le SGR (oltre che per le istituzioni legate alla formazione)” Pierluigi Giverso, condirettore Generale di Anima Holding. In primis Giverso sottolinea come il campo d’azione sia ancora passibile di allargamento. L’indagine, condotta tra dicembre 2021 e gennaio 2022, ha interessato infatti 27 tra diocesi e arcidiocesi e 16 fondazioni: una fetta, seppur rappresentativa, ancora ridotta dell’universo di riferimento (“tra diocesi, arcidiocesi e altri istituti ci sono circa 500 soggetti in Italia”). Tuttavia, soltanto una limitata quota di rispondenti (il 12%) afferma di non conoscere le linee guida CEI, contro un 42% che vanta una conoscenza “approfondita” e un 46% che parla di conoscenza “nelle sue linee generali”. Oltre la metà dei rispondenti, inoltre, possiede già prodotti di investimento conformi alle linee guida CEI e un incoraggiante 38% prevede di introdurle in futuro. La criticità maggiore, in questo punto, va al dettaglio sulla quota di portafoglio destinata a investimenti conformi al documento della CEI: per il 63% è meno del 50%, segue un 30% che investe tra il 75 e il 100% del portafoglio mentre soltanto il 7% si posiziona tra il 50 e il 75 per cento. “Questo deriva dalla dotazione in termini di competenze ma anche dall’effettiva disponibilità dei prodotti”, sostiene il condirettore generale di Anima Holding. “È passato poco più di un anno dalla pubblicazione delle linee guida, è un percorso graduale. Un altro aspetto interessante va lato intermediari: il 57% risponde che tali prodotti non sono stati proposti quindi intermediari e consulenti devono dotarsi di competenze ed essere in grado di supportare gli investitori con la scelta di prodotti coerenti”.
Il “paradosso” dell’ESG
Allargando lo sguardo alla popolazione italiana, Anima sottolinea come la ricerca di equilibrio tra ente finanziario e fattori di sostenibilità sia ormai preponderante. “Questo è in definitiva un dato interessante – conclude Giverso – perché amplia la prospettiva degli investimenti a tutta la platea dei risparmiatori retail”. Punto sottolineato anche dall’intervento di Tiziano Bellemo, responsabile per la clientela istituzionale di 8A+ Investimenti SGR il quale riporta un “paradosso” ancora presente nel settore finanziario (riscontrato nel suo caso nell’interlocuzione con gli enti) in merito alla percezione di inadeguatezza degli investimenti sostenibili, in termini di rendimenti, rispetto agli investimenti tradizionali. Eppure, afferma Bellemo “prendendo a esempio l’attività di engagement, ci sono piene evidenze della sua efficacia”. Un esempio sul campo è dato dall’engamente sulle quotate. “A poco più di un anno dall’avvio dell’attività, le società aumentano l’efficienza verso buone pratiche e questo si traduce anche in un miglioramento del profilo di rendimento borsistico”.
Gli ostacoli principali
La criticità principale è dunque quella legata all’individuazione degli ostacoli allo sviluppo non soltanto delle tematiche ESG ma anche della loro declinazione nelle linee guida CEI. Erica Cis, risk manager di Nummus.info, sottolinea a questo proposito “l’importanza della formazione che dovrebbe avvenire su vari libelli in tutti gli enti religiosi, sia da un punto di vista finanziario, sia da un punto di vista etico e valoriale”. A questo occorre affiancare anche un cambio di percezione sulla finanza, da individuare “come un strumento per raggiungere obiettivi, non il fine ultimo”, articolando questi obiettivi anche con il tramite dell’impatto. La questione dell’impatto positivo dell’investimento e del superamento delle criticità è ripresa anche da Armando Carcaterra, responsabile investment support & principles di Anima SGR, che ricorda come “se fossimo in grado di individuare gran parte di questi ostacoli saremmo già a buon punto”, e dal punto di vista degli operatori del settore finanziario, “è importante avere regole certe, che permettano di operare in un contesto livellato che offre il massimo della trasparenza nei confronti del cliente finale”.
Sul punto interviene anche Stefano Mach, co-fondatore di IMPact SGR, che propone di spostare il fuoco su un altro piano: “Molti investitori si chiedono se applicare criteri possa produrre performance migliori o peggiori”, afferma, citando anche un caso pratico di un fondo che investe secondo il principio dell’esclusione “la correlazione tra esclusione performance è relativamente bassa ed è in capo al gestore”. In definitiva, sostiene l’esperto, “il sistema non si autoregola, deve essere regolato”. La definizione degli articoli 8 e 9 secondo il regolamento UE SFDR “ha iniziato a fare un po’ di chiarezza, quindi sia gli operatori sia i regolatori vedono un sistema tracciato a fronte di una sensibilità del settore sempre maggiore. In questa evoluzione, una forte attenzione va a coloro che devono comunicare con gli investitori. Lo abbiamo visto dalla ricerca di Anima – conclude Mach –: il consulente va guidato”.