L’investimento di lungo periodo come antidoto all’incertezza

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Mark Konig, Unsplash

L’importanza del fattore tempo è un tema che accompagna da sempre il settore della consulenza finanziaria, e si lega in molti casi alla scarsa propensione da parte dell’investitore a mettersi in una prospettiva di “lungo termine”. Questo concetto è stato oggetto della web conference “Oltre il tempo presente: l’importanza del fattore tempo negli investimenti” Organizzata da AIPB – Associazione Italiana Private Banking, in collaborazione con GAM, con l’obiettivo di stimolare un dibattito sui comportamenti degli investitori, sull’aspetto psicologico che interviene nei processi di investimento, sulla necessità di accrescere il livello di educazione finanziaria nel nostro Paese e, infine, sul ruolo dei consulenti finanziari. A fare da filo conduttore della riflessione, il libro di Paolo Legrenzi, professore emerito di psicologia all’Università Ca’ Foscari di Venezia “Oltre il tempo presente. Consigli su come investire dopo la pandemia”, promosso da GAM e AIPB.

IL TEMPO DELL’INCERTEZZA

La crisi sanitaria e finanziaria mondiale, infatti, ha recato in dote quella che Legrenzi ha definito come “un’accentuazione dell’incertezza”. Una fase che ha toccato i due parametri cruciali per il benessere dei nostri investimenti: spazio e tempo. Nel primo caso la discussione ha portato alla necessità di definire gli investimenti secondo una diversificazione a livello mondiale, mentre “il parametro tempo è molto più insidioso”, ha commenta Legrenzi. “Negli investimenti c’è un paradosso di cui molti non si rendono conto. Se si prendono tempi medio-lunghi, e si guarda indietro (o in avanti), ad esempio di 5 anni, emergono relazioni tra i possibili investimenti che restano immutate. La previsione su tempi lunghi nel mondo della finanza si conferma piuttosto stabile. Mentre in tempi brevi, nell’ordine di pochi mesi, è già più difficile da indicare”.

Riccardo Cervellin AD di GAM (Italia) SGR, ha spostato il focus sulla doppia valenza, finanziaria e individuale, della crisi Covid-19, perché ai timori legati alla finanza si sono sommati quelli legati alla salute e al futuro lavorativo. “In questo modo è cambiata la relazione tra i consulenti e private banker con gli investitori e le famiglie. In quanto bisognava uscire dalla trappola dell’immediato e cercare di allungare la visione temporale. Da un lato i prodotti aiutano, perché molti sono legati ai megatrend, con logiche di lungo periodo, come la tecnologia o il lusso”. Perciò la pandemia ha fatto emergere una nuova narrazione, un nuovo modo di approcciare il cliente “raccontare una storia con un respiro più ampio che lo aiutasse a rispondere all’impatto emotivo non in maniera razionale ma con un’emozione positiva”.

LA LIQUIDITÀ NEI PORTAFOGLI DEL PRIVATE BANKING

Come ha risposto il mondo del private banking all’incertezza? La risposta è stata forte, Antonella Massari, segretaria generale di AIPB. “Siamo rimasti colpiti positivamente dal trend della liquidità del settore servito dal private banking. Tema, questo, molto presente nel settore della clientela retail e affluent. Se guardo gli asset gestiti dagli operatori del private banking il peso della liquidità del primo trimestre 2020 era salito molto, in media il private banker ha un 15% del portafoglio in liquidità, questa percentuale era arrivata a 17-18% nel corso dei mesi. Tuttavia, già nel secondo trimestre era passata al 15,7% e, a fine 2020, è tornata esattamente a livelli pre-Covid”. Resta perciò il tema della liquidità in mano alla clientela retail.

LA RELAZIONE CONSULENTE-CLIENTE

Sul rapporto della rete con il cliente è intervenuto Gianluca La Calce, responsabile Marketing e Sviluppo Offerta di Fideuram Intesa Sanpaolo Private Banking, sottolineando come la crisi abbia confermato la forza del rapporto tra consulente e cliente: “Nel momento più alto della crisi, quando chiaramente a un certo punto ha prevalso la paura legata all'aspetto sanitario, questo rapporto è diventato quasi di assistenza psicologica”, ha commentato La Calce. C’è stato dunque “un grandissimo sforzo di razionalizzazione in quello che era il patto di costruzione dei portafogli, e la relazione ne è uscita valorizzata” seppure le modalità di questa relazione abbiano subito una necessaria mutazione. Certo, lo sviluppo di piattaforme stimolato dal distanziamento sociale sicuramente permetterà anche in futuro una più efficiente operatività “ma non si sono sostituite sicuramente alla relazione diretta che rimane, in questo momento nel nostro business, l’elemento fondamentale”.

A fronte di questo new normal ormai radicato, Roberto Arosio, head of Investments and Wealth Management di Banca Aletti, ha calcato l’attenzione sulla relazione tra l’ottimizzazione rischio-rendimento e l’orizzonte temporale. Su questa scia Banca Aletti ha creato un modello comportamentale che interviene su tre ambiti. In primis un’asset allocation strategica, con cui si incorporano i mega trend nelle scelte di investimento strutturali. In secondo luogo “abbiamo esteso la logica di divisione del patrimonio per bisogni”. La terza componente è stata appunto quella di utilizzare la finanza comportamentale “abbiamo suddiviso i nostri clienti in quattro tipologie (guardiani, razionali, realisti, intraprendenti)”, ha commentato Arosio, “in base alla propensione al rischio, a quella alla delega, all’articolazione dei bisogni e agli errori comportamentali”. Secondo Arosio, “la possibilità di fare errori di tipo cognitivo in questo contesto di mercato è cresciuta e al contempo è cresciuto il valore della consulenza e lo sarà sempre di più nei prossimi anni”.