Alessandro Fugnoli e Guido Brera spiegano perché il Piano nazionale di ripresa e resilienza è così importante e cosa sta facendo Kairos per cavalcare il cambiamento.
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A ben pensare potrebbe passare come una visione quasi “populista”: l’idea di una Stato forte, protagonista in materia di riforme e investimenti, salvifico per il Paese. Eppure si tratta della versione "dopata" del modello della Teoria Generale keynesiana di Alessandro Fugnoli, strategist e Guido Brera, direttore investimenti di Kairos. Il tema è il Piano nazionale di ripresa e resilienza presentato questa settimana dal governo alle Camere e quindi all’Unione europea.
Il piano prevede all’incirca 220 miliardi di euro di finanziamenti. In termini percentuali, il 27 per cento dei fondi sarà dedicato alla digitalizzazione, il 40 agli investimenti per il contrasto al cambiamento climatico e oltre il 10 alla coesione sociale. Oltre a moltissime indicazioni e promesse generiche, nelle 273 pagine del documento si trovano anche finanziamenti e riforme di maggiore concretezza, e di cui quasi certamente si continuerà a parlare nei prossimi anni. “Siamo di fronte ad un cambiamento epocale”, dice Guido Brera. “Come ci ricorda l’esperienza vissuta dal nostro Paese a cavallo tra le due guerre, l’Italia risulta vincente in un contesto in cui lo Stato è protagonista, dove gli investimenti pubblici regnano, dove c'è un’espansione del bilancio, cioè si va a deficit pur di cercare una crescita superiore ai tassi di interesse a cui ci si finanzia. Ricordiamo che l'Italia, anche come Borsa e come sistema, negli ultimi 25 anni è stata praticamente sempre in declino rispetto agli altri Paesi”.
Le cifre in dettaglio
A far di conto sul budget che spetta all’Italia ci pensa Fugnoli: “sono in totale 220 miliardi di euro, l’11% del Pil italiano, distribuiti nei prossimi quattro anni e di questi 220 miliardi, 30 miliardi li mette l'Italia come investimenti aggiuntivi rispetto ai programmi che aveva in precedenza, mentre 190 miliardi sono messi a disposizione dall'Europa”. In aggiunta, per precisione, ci sarebbe anche i circa 80/90 miliardi, integrati dai fondi stanziati con la programmazione di bilancio 2021-2026. Ad ogni modo un sacco di soldi da gestire. “Due cose mi preme considerare”, ribadisce lo strategist di Kairos, “la prima è che l'Europa non ci sta regalando dei soldi, di questi 190 miliardi, che sono i famosi 209 miliardi di cui abbiamo parlato tutto l'anno scorso - che non sono però una cifra rigida perché verrà rivista periodicamente a seconda dell'andamento dell’occupazione, dell’epidemia e di altri parametri - 120 miliardi sono rappresentati da una linea di credito per l'Italia che si è riservata la possibilità di non utilizzare nei prossimi anni qualora l'indebitamento diretto sul del mercato attraverso i BTP risultasse particolarmente conveniente. I restanti 70 miliardi ci vengono dati sotto forma di un sussidio, però anche qui non si tratta di un regalo puro e semplice perché l'Italia è un contributore netto dall'Unione, cioè dà più soldi all'Unione di quelli che riceve e quindi, così come la Thatcher a suo tempo negoziò con l'Unione la restituzione di quanto il Regno Unito aveva versato in più, così sarà anche per l'Italia, che in pratica riceverà indietro la quota versata in disavanzo all'Unione. Alla fine è chiaro che l'aiuto europeo è molto inferiore ai 200 miliardi di cui si parla”.
Abbasso l'austerity
Insomma, nulla è regalato ma nulla è nemmeno così scontato, visto che la Commissione europea ha un mese di tempo per fare delle osservazioni o chiedere dei chiarimenti. Senza contare che, in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi, la Commissione può ridurre l’erogazione, sospenderla o perfino chiudere l’accordo anzitempo. “L’aspetto più importante e significativo è però legato al totale cambiamento di approccio dell’Europa nei confronti dell'Italia, perché si passa dalla linea di austerità mantenuta per tutto il decennio scorso, a causa della quale il bilancio pubblico ha sacrificato gli investimenti pubblici per ottenere una diminuzione del disavanzo, ad una linea che oggi permette all'Italia di indebitarsi per fare investimenti pubblici. Questo è un aspetto molto importante che porterà ad un aumento del livello di Pil del 3% alla fine dell'intera operazione”.
Se il PNRR soffia su alcuni trend d’investimento
Se il PNRR resta comunque ancora la vaglio europeo, di certo ci sono grandi linee già ben definite. Si tratta di investimenti che toccheranno, in particolare, due direzioni: la transizione energetica e la digitalizzazione. Per questo, come spiega Guido Brera, la società di gestione sta cercando di posizionarsi lungo questi assi portanti: i fondi KIS Climate Change ESG e KIS New Era ESG sono stati lanciati sulle orme del Next Generation Plan. “Stiamo attraversando una fase in cui i flussi di capitale vengono guidati verso investimenti più sostenibili”, spiega il manager. “Kairos si sta inoltre muovendo esclusivamente sull'Italia, che va dalla parte di titoli più liquidi, con il fondo KIS Italia PIR, per investire proprio alla luce degli sviluppi legislativi e degli incentivi fiscali introdotti. Con il fondo KIS Patriot investiamo invece nei titoli più piccoli, small e mid cap, e siamo in chiusura con il fondo KAIS Renaissance ELTIF con una raccolta di 50 milioni di euro, che investe in asset liquidi e illiquidi, dove ci sono le più grandi sacche di inefficienza del nostro Paese. In ultimo stiamo per lanciare un venture capital”.