Normalizzazione, se il mercato storce il naso

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Thomas Rousing, Flickr, Creative Commons

Il dibattito economico ruota ultimamente attorno ad alcuni temi caldi, crescita e inflazione in primis, che evolvono in uno scenario di luci e ombre, e sono direttamente collegati con le mosse delle Banche centrali. Proprio la settimana scorsa, infatti, la Fed annunciava il rialzo dei tassi di un quarto di punto mentre qualche giorno prima la BCE confermava di lasciare invariati i suoi livelli, escludendo la possibilità di nuovi tagli.

“In linea di massima, negli ultimi mesi abbiamo assistito a una perdita di slancio sulla crescita economica e sull’inflazione ma bisogna fare le giuste precisazioni”, ricorda Carlo Majolo, investment advisory di Anima SGR. L’esperto, infatti, ricorda che i livelli deludenti di crescita su un versante dell’Atlantico (USA) si sono visti controbilanciati da una fase incoraggiante nell’area euro, caratterizzata da una ripresa ciclica. “Avevamo un certo timore per le conseguenze che avrebbe avuto sulla crescita in Cina la stretta monetaria ma è sotto controllo”, ha aggiunto Majolo.

Anche l’inflazione delude. “Negli Stati Uniti è al di sotto del target mentre nella zona euro si è mantenuta a livelli moderati negli ultimi mesi. “Siamo in una fase di transizione”, sottolinea l’esperto. “Se da una parte è svanito il contributo positivo legato alla crescita del prezzo del petrolio, dall’altro attendiamo evidenze sulla crescita salariale (già in corso negli USA) che probabilmente diventerà sempre più consistente. Per questo, nell’area euro, bisognerà aspettare l’anno prossimo”, conclude Majolo.

Davide Gatti, responsabile divisione vendite, ricorda che le Banche centrali sono meno accomodanti rispetto al passato. “La Fed ha agito come previsto, confermando le proprie proiezioni sull’andamento dei tassi con aumenti che si produrranno tra il 2018 e il 2019 ma il mercato fa fatica a credere a questo sentiero di rialzi. Sicuramente, sarà il settore obbligazionario ad essere più esposto a eventuali sorprese”, sottolinea Gatti. L’esperto parla, poi, di una Banca centrale europea che “ha cambiato la sua retorica e fatto un piccolo passo verso la normalizzazione. Ci attendiamo altre comunicazioni entro la fine dell’anno sull’inizio del tapering”, dice, “e riteniamo, comunque, che quanto torneranno evidenze d’inflazione i tassi dovranno adeguarsi”.

Ad approfondire il fattore ‘volatilità’ ci pensa Mario Pavan, portfolio manager obbligazionario, che aggiunge: “Normalizzazione vuol dire tassi che salgono, si allontanano dallo 0 o addirittura dai livelli negativi, ma la parte più interessante per un gestore obbligazionario è che questa fase presuppone la riconquista di strumenti che le Banche centrali avevano quasi dimenticato. È proprio da questo che nasce la volatilità”, spiega il manager. “La Fed ha parlato di normalizzazione già conquistata che prevede per l’istituto centrale l’inizio della riduzione di bilancio, uno strumento finora importante per la sua azione di contenimento dei tassi ma che adesso non serve più. E il mercato stenta a crederci”.

L’esperto chiarisce poi la visione di Anima: “Siamo dalla parte delle Banche centrali e ci aspettiamo tassi in risalita. È per questo che abbiamo preparato i portafogli per un evento di questo tipo, riducendo duration e aumentando, dove possibile, l’esposizione ad aspettative di inflazione molto depresse”.

Majolo, infine, si sofferma sul ‘fattore P’ (politico) e sull’impatto sui mercati. Dopo le elezioni nel Regno Unito e i conservatori che hanno perso la loro maggioranza, le principali conseguenze si rifletteranno sui negoziati per la Brexit (iniziati ieri) che sarà forse più morbida del previsto e su una politica fiscale che con ogni probabilità sarà meno rigida rispetto agli ultimi anni, dovendo i conservatori conquistare alleanze in Parlamento e recuperare il consenso.

L’esperto parla, comunque, di un “impatto locale sugli asset inglesi e sulla sterlina che potrebbe indebolirsi, e non sistemico”. Sul fronte continentale dell’area euro gli eventi politici hanno portato addirittura a una riduzione del rischio da parte degli investitori, un’onda che Macron ha cavalcato appieno, mentre per quanto riguarda l’Italia, le amministrative hanno segnato una battuta d’arresto del M5S e dei partiti antisistema. “Con il fallimento della riforma è svanito anche il rischio di elezioni anticipate. I mercati, dunque, rinviano le preoccupazioni sull’Italia all’anno prossimo, dove si voterà entro maggio del 2018”, conclude l’esperto.