Analisi a cura di Michele Morra, Portfolio Manager di Moneyfarm.
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Analisi a cura di Michele Morra, Portfolio Manager di Moneyfarm.
A più di due anni dal referendum con cui i cittadini britannici hanno espresso la volontà di lasciare l’Unione Europea, UE e Gran Bretagna hanno raggiunto un accordo sulle condizioni della Brexit. Al di là di ogni giudizio sull’esito del referendum, che riflette la volontà inalienabile dei cittadini britannici, è curioso notare come il voto del 23 giugno 2016 si sia fidato di idee e promesse di ogni genere piuttosto che di un accordo preciso, la cui stipula risulta oggi a conti fatti molto più complessa del previsto. L’accordo di 585 pagine, che forse guiderà il Regno Unito fuori dall’Unione Europea il 29 marzo 2019, è stato presentato martedì scorso dopo un susseguirsi di bozze, dichiarazioni e smentite, e passerà presto al vaglio del Consiglio Europeo.
La causa principale di questa odissea risiede ovviamente nella disparità degli interessi dei vari attori in gioco, che sono molteplici: UE, Gran Bretagna, governo, Leavers, Remainers, Irlanda del Nord. All’interno dei partiti del parlamento e all’interno dello stesso partito di maggioranza convivono Leavers e Remainers. All’opposizione troviamo il partito laburista guidato da Jeremy Corbyn, i cui membri, indipendentemente dal fatto di essere Leavers o Remainers, molto probabilmente non voteranno a favore di questo accordo siglato dalla maggioranza.
Nella maggioranza conservatrice Tories, ci sono sia Leavers, che considerano l’accordo un tradimento della volontà dei cittadini, sia molti Remainers, che temono che il Paese rimanga bloccato in un limbo soggetto alle regole della UE. Non manca poi chi già pensa a nuove elezioni e denigra l’accordo solo per far cadere il governo, mentre i Tories dell’Irlanda del Nord non concordano su alcuni punti ben precisi, che trattano il loro Paese in maniera diversa dalla Gran Bretagna. Non dimentichiamo infine quei Tories che sono disponibili a scendere a qualunque compromesso purché il governo non cada e ne risulti favorita l’opposizione.
Comunque sia, per validare l’accordo il governo inglese ha bisogno di 320 voti in parlamento. Senza considerare tutte le divisioni interne, attualmente i Tories possiedono 316 seggi: insufficienti se non arrivano voti dai Labour.
Cosa succede e quali scenari si prefigurano
I Tories pro-Brexit stanno promuovendo una mozione di sfiducia nei confronti del governo, il quale secondo loro avrebbe “tradito le promesse fatte alla nazione”. Per mettere ai voti la mozione contro Theresa May serve la sottoscrizione di 48 parlamentari ma sembra che per ora il numero non si riesca a raggiungere. La May ha ribadito di voler andare avanti per la sua strada dopo aver ricevuto il supporto degli ambasciatori dei 27 Paesi membri della UE. Nel frattempo i ministri del governo May stanno cadendo come mosche: quattro di essi, tra i quali il ministro della Brexit Dominic Raab (succeduto a David Davis), hanno abbandonato la nave e Michael Gove, ministro dell’ambiente, ha rifiutato di succedere a Raab.
Date le tempistiche ristrette imposte dalla deadline di marzo 2019, se l’accordo non dovesse essere approvato, gli scenari potrebbero essere questi:
- una No-deal Brexit, che vedrebbe il Regno Unito escluso immediatamente da qualsiasi accordo con la Ue e dunque impossibilitato a commerciare e a fornire servizi;
- nuove elezioni per il governo inglese, il cui partito vincitore avrebbe l’onere di proporre un nuovo accordo da far approvare a tutte le parti;
- un secondo referendum, in cui non è affatto scontato che vincano i Remainers.
Nessuno dei risultati sopra citati sarebbe dunque una soluzione al problema, e probabilmente il Paese rimarrebbe nella situazione di stallo attuale che continua ad allontanare capitali, pesando sulla crescita e sulle tasche dei cittadini britannici.
L’impatto sui mercati
Per riassumere l’impatto di questo carosello sui mercati finanziari, dobbiamo considerare principalmente i seguenti fattori di rischio.
- Tasso di cambio dollaro-sterlina. L’asset class maggiormente impattata dalla Brexit è senza dubbio il cambio Sterlina-Dollaro, la cui volatilità nell’ultima settimana è aumentata considerevolmente. Su di esso pesano le aspettative a ribasso sulle esportazioni e dei flussi finanziari esteri.
- Rendimenti (nominali) dei titoli britannici, GILT. I tassi nominali sono soggetti a effetti contrastanti. Maggiori aspettative inflazionistiche dovute al deprezzamento del tasso spingono al rialzo i tassi a breve termine, ma al contempo la ricerca di asset poco rischiosi e le aspettative di crescita riviste al ribasso influenzano i tassi negativamente.
- Credito. Il rischio di credito sui GILTS aumenta, come mostrato dallo shift al rialzo della curva dei CDS da inizio anno, impattato da minor crescita attesa, minor investimenti attesi e maggior rischio di credito sulle società inglesi.
- Azionario. Il principale indice azionario, il FTSE 100, è composto da società che hanno ricavi in valuta estera e dunque sono meno impattati da riduzioni improvvise del tasso di cambio. Tra le società più a rischio troviamo dunque quelle il cui costo della produzione è legato alle importazioni che risulteranno più care, sia a causa di un nuova regolamentazione sul mercato dei beni, sia a causa del movimento del tasso di cambio. Le società appartenenti al settore finanziario, infine, potrebbero vedere la loro operatività impattata fortemente da una nuova compagine regolamentare.
- Europa. Brexit avrà sicuramente un impatto anche sulla UE, che potrebbe trovarsi a subire delle limitazioni sul commercio con un partner importante come il Regno Unito.
Il grafico sotto mostra l’andamento del tasso di cambio da inizio anno e della volatilità implicita a 3 mesi delle opzioni scambiate sui listini. Dall’andamento della linea rosa emerge chiaramente l’entità della volatilità del tasso di cambio nelle ultime settimane. L’area azzurra mostra il picco raggiunto dalla volatilità implicita a breve termine del tasso di cambio, che rappresenta l’incertezza sui mercati e la volontà degli operatori di coprire le proprie posizioni (o ottenere profitti) da un eventuale movimento del tasso di cambio. La volatilità implicita è ai suoi massimi dall’estate 2016.
Fonte: Moneyfarm.
Notiamo infine come l’incremento di volatilità sia maggiore per scadenze inferiori ad un anno, segno di quanto pesi sui mercati l’incertezza dovuta alla mozione di sfiducia, al voto di dicembre e all’uscita di marzo.
L’impatto sui portafogli Moneyfarm
La Brexit, insieme alla politica commerciale di Trump e alle tensioni nazionaliste europee, rappresenta uno dei maggiori fattori di rischio dei prossimi mesi. Nel ribilanciamento di ottobre 2018 abbiamo deciso infatti di ridurre la sovraesposizione europea nei nostri portafogli e di ridurre parte della componente azionaria. In generale, l’esposizione dei portafogli Moneyfarm al Pound è molto limitata e i portafogli risultano ben diversificati.