L’offerta di prodotti di investimento diversi anni fa si è arricchita di strategie che seguono una nuova generazione di indici. Mentre gli indici più noti al grande pubblico replicano l’andamento di indici azionari come Eurostox 50 o S&P500, semplicemente comprando i titoli che li costituiscono per i pesi corrispondenti, la logica di costruzione degli altri indici di cui parliamo è meno intuitiva e più complessa. Questi indici infatti spesso hanno l’obiettivo di diversificare, replicando una o piu’ strategie normalmente offerte da gestori di fondi hedge, con logiche di ritorno ad un livello di 'equilibrio' rispetto ad una sovra/sotto valutazione, carry sulle valute ad alto rendimento contro quelle con i tassi bassi, o scelte direzionali sulla volatilita’ in aumento o diminuzione. Tali strategie sono state messe a disposizione in diverse forme o veicoli di investimento. Inizialmente vi potevano accedere solo gli investitori istituzionali tramite note strutturate, certificati, total return swaps. Più di recente anche agli investitori privati è stata data la possibilità di investire in veicoli che diano esposizione a strategie di replica di indici meno tradizionali, grazie all’esplosione (benvenuta) degli ETF ed al loro utilizzo anche per forme di investimento non completamente passive.
Il problema di tali indici, come di tutte le strategie sistematiche nel momento in cui inizia la commercializzazione, è che quasi sempre danno troppo peso ad un backtesting, ovvero ad una serie storica ipotetica (!) che mostri ottimi risultati. Perchè il neonato prodotto funzioni commercialmente, la performance storica deve far brillare gli occhi. Infatti, nonostante il diffusissimo disclaimer reciti “La performance passata non e’ da ritenersi indicazione di risultati futuri”, ogni investitore è vittima di una conscia o inconscia preferenza per prodotti che hanno performato bene in passato. Pertanto le case di gestione sono fortemente incentivate all’ottimizzazione, ovvero a correggere il metodo di calcolo dell’indice in modo tale che i risultati appaiano più che buoni. E’ il cosiddetto curve fitting o overfitting, nemico numero uno delle strategie sistematiche. Sono agevolate in tal senso anche da minori restrizioni sul materiale di marketing per gli indici, rispetto ai fondi comuni. I ritorni dei fondi comuni devono essere reali e includono tutto, costi compresi, mentre quelli degli indici possono omettere determinati costi di gestione (performance, transazione o amministrativi) o non specificare la reale data di partenza dell’utilizzo dell’indice. I gestori dei fondi comuni non potrebbero mai ”spacciare” una performance ipotetica per una performance reale, mentre di fatto questo accade con gli indici, approfittando dell’inguaribile ottimismo del lettore/investitore.
Non si tratta di malafede, ma di un pò di superficialità diffusa. Fatto sta che la combinazione tra risultati ipotetici ed incentivo a presentare solo i prodotti con risultati eccellenti porta con altissima probabilità ad una rappresentazione troppo ottimistica della performance attesa, che, dal momento in cui il prodotto di investimento su tale indice andrà live, tenderà per motivi anche solo statistici a degenerare, dando un risultato che non si avvicinerà nemmeno a quello di backtesting. Avrei voluto riportare un case study specifico (vi assicuro che ve ne sono molti), ma avrebbe danneggiato una specifica casa di gestione o banca di investimento a favore di altre, e questo non è corretto dal momento che tale superficialità o la pratica di ‘approfittare’ delle libertà di marketing legate alla parola indice, in alcuni casi traslate sugli ETF, è piuttosto diffusa.
Una storia reale
Ma per non lasciarvi a bocca asciutta, ecco una storia reale, senza il nome dell’indice (che chiamero’ XYZ). Nei primi mesi dello scorso anno, 2014, un grosso asset manager ha lanciato un ETF che replicava l’indice XYZ, basato sulla combinazione di diverse strategie absolute return su valute, tassi di interesse ed azioni. Su Bloomberg, il maggior information provider per investitori professionali, la serie di risultati disponibile per l’indice XYZ risale a circa 10 anni prima del lancio dell’ETF, ma sotto forma di indice, pertanto con nessuna certificazione dell’effettivo utilizzo da tale data. In effetti, nei documenti dell’indice XYZ si dice solo che alcune delle strategie che ne fanno parte sono state usate internamente dalla banca di investimento che lo produce, il che conferma che non sono state ‘investite’ da allora, o forse mai, tanto meno nella combinazione offerta. Ci ritroviamo quindi su Bloomberg, dove per gli indici non è obbligatorio distinguere tra dati storici e dati simulati, con 11 anni di serie: 10 anni di dati simulati e, ad oggi, quasi un anno di dati reali dalla data di lancio dell’ETF.
Questa prima tabella mostra le principali statistiche di performance e rischio per la serie simulata dell’indice paragonata al padre di tutti gli indici, l’S&P 500.
Periodo: 10 anni dal 2004 | Indice XYZ | S&P 500 |
Rendimento annuo medio | 6.55% | 7.71% |
Volatilità | 2.97% | 12.31% |
Sharpe Ratio | 1.61 | 0.48 |
Massimo Drawdown | -3.24% | -48.79% |
L’indice XYZ, nel periodo simulato, avrebbe avuto un rendimento annuo di solo 1.16% inferiore all’S&P 500, ma con volatilità (deviazione standard) del 2.97% e massimo drawdown del 3.24%. Stiamo parlando di un decimo del drawdown e di un quarto della volatilità dell’S&P, in un periodo che comprende la bancarotta di Lehman di settembre 2008 e la crisi del debito sovrano dei Paesi periferici europei del 2011. Sarebbe probabilmente stato il migliore prodotto di gestione in assoluto come statistiche di rischio-rendimento, tra prodotti tradizionali ed alternativi, attivi e passivi.
Periodo: 1 anno da inizio 2014 | Indice XYZ |
Rendimento annuo medio | -7.68% |
Volatilità | 3.91% |
Sharpe Ratio | -2.29 |
Massimo Drawdown | -9.00% |
Ho volontariamente rimosso il paragone con l’indice S&P 500, che nel periodo ha fatto il +8.90%, poiché ciò su cui ci si deve concentrare è la degenerazione dei risultati rispetto alla serie simulata, non il paragone con l’azionario USA, del quale l’indice XYZ non è una replica. Ci interessa vedere che da quando il prodotto è live la volatilità si sia rivelata vicina al 4%, non sotto il 3%, ma soprattutto che il drawdown massimo abbia triplicato quello simulato. Una discreta delusione per gli investitori. Sarebbe interessante fare un sondaggio. Quanti di tali investitori avevano ben compreso il reale profilo di rischio dei ritorni di XYZ? Sono pronto a scommettere che siano una minoranza. Non va a finire sempre così, ma vi assicuro che non si tratta di un caso raro.
- ben venga l’impostazione di un processo di investimento passivo per parte del proprio portafoglio, ma l’importante è non confondere l’attivo col passivo, l’alpha col beta, lo storico con l’ipotetico. Se si vuole diversificare il proprio portafoglio passivo con reali fonti di alpha, l’investitore si assicuri di dare un mandato ad un gestore con un approccio attivo, o di approfondire senza distorsioni ciò su cui sta investendo, in autonomia se ne ha capacità e risorse, o con il contributo di un advisor indipendente, che è spesso una soluzione, come si dice, ... da “poca spesa, tanta resa”.
E se proprio non possiamo fare a meno di dare molta importanza ai rendimenti passati, cerchiamo di dare molta importanza al fatto che siano più o meno sostenibili e ripetibili.