Commento a cura di Carlo Benetti, head of Market Research and Business Innovation di GAM (Italia) SGR S.p.A.
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Commento a cura di Carlo Benetti, head of Market Research and Business Innovation di GAM (Italia) SGR S.p.A.
Nella visione d’insieme di uno scenario complesso Brexit costituisce un episodio di primaria importanza, ma è pur sempre uno degli alberi della foresta E siamo appena a luglio, di questo 2016 bisesto! Evidentemente gli astrologi si sono sbagliati anche questa volta, non siamo entrati nell’ “Età dell’Acquario”, tempo di armonia e bellezza, ne siamo anzi ben lontani. Sta accadendo di tutto, e tutto sta accadendo in fretta. Nemmeno il tempo di metabolizzare l’esito del referendum inglese e arriva un “uno-due” da ko e fine incontro. I drammatici fatti di Nizza riportano sulle prime pagine l’orrore del terrorismo, il tentativo di colpo di Stato ad Ankara avrà come probabile esito la concentrazione del potere nelle mani di Erdogan e la radicalizzazione della sua azione di governo. La deriva autoritaria in Turchia sarà una nuova complicazione al puzzle diplomatico in Siria e un ostacolo alla gestione della crisi dei migranti che sta squassando gli equilibri politici europei. Dietro l’angolo ci sono le elezioni in Austria, con la possibilità di successo della destra euroscettica, e le elezioni negli Stati Uniti. In questi giorni a Cleveland si svolge la Convention repubblicana, l’elezione di Donald Trump a presidente entra ufficialmente nel novero delle possibilità. Nel 2017 si svolgeranno le elezioni in Francia e in Germania, la paura del terrorismo sarà vento nelle vele dei movimenti più radicali ostili all’Europa, convitato di pietra che fa perdere voti.
In tutto questo scompiglio, c’è chi si chiede se Brexit costituisca un altro “momento Lehman”. Un episodio di Comma 22, il romanzo di Joseph Heller ironica denuncia della guerra, può aiutare a capire. C’è un aviere ferito, il suo bombardiere è stato raggiunto dal fuoco della contraerea e un proiettile lo ha colpito alla coscia sinistra. La ferita non è grave, un altro membro dell’equipaggio lo sta medicando, Snowden dovrebbe farcela. Ma sente freddo, è pallido e debole nonostante la ferita non sia grave. Yossarian, il protagonista del romanzo, lo sta medicando con meticolosità, ha tagliato la tuta di volo, ha applicato il laccio emostatico, disinfettato i bordi della lacerazione, applicato le garze. “Ho freddo, ho freddo” continua a lamentarsi Snowden. “Andrà tutto bene amico, è tutto sotto controllo” gli ripete Yossarian. Ma il ferito continua a scuotere la testa debolmente, sempre più pallido. Yossarian nota un rivolo di sangue sotto il braccio, lo solleva e lancia un urlo di orrore vedendo la vera ferita, uno squarcio nel lato sinistro del torace che si allarga alla schiena. Yossarian, paralizzato dalla repulsione, non riesce a fare niente di meglio che coprire la ferita con il telo del paracadute mentre il compagno continua a mormorare, sempre più debolmente, “ho freddo, ho freddo”.
Brexit è un fatto dirompente nella politica europea ma prestarvi un’attenzione esclusiva significa correre lo stesso rischio di Yossarian, medicare la gamba senza accorgersi della ferita al torace. Davvero Brexit è un nuovo “momento Lehman”? Probabilmente nessuno è in grado di rispondere con accettabile approssimazione, ma non dimentichiamo che Brexit si inserisce in un contesto già segnato da valutazioni eccessive, da attese di utili modeste, da elevata incertezza politica, dai timori sulla sicurezza. Gli attentati raramente hanno una diretta relazione con i mercati finanziari ma la paura e l’insicurezza rinsaldano la tentazione dei muri e degli isolazionismi, favoriscono il consenso ai partiti euroscettici, un pericolo per la moneta unica più insidioso della crisi del debito greco nel 2012. Probabilmente Brexit non è causa di un innalzamento del rischio sistemico, semmai un catalizzatore di rischi già presenti. Robert Engle, premio Nobel per l’Economia, ha elaborato un indice sulla rischiosità sistemica delle banche. L’indicatore, messo a punto da Engle con i ricercatori dello Stern Volatility Institute dell’Università di New York, non utilizza i valori di bilancio delle banche e delle istituzioni finanziarie ma i loro prezzi di borsa. La logica sottostante è che coloro che investono in azioni guardano avanti, basano le scelte sulle valutazioni di dinamiche future, i prezzi di borsa sono misura di tali attese, indicatori della mutevole percezione del mercato della solidità dei bilanci bancari. L’indice SRISK del NYU Stern Volatility Lab stima la diminuzione del capitale in caso di grave crisi, l’idea è misurare la debolezza patrimoniale di intermediari finanziari di dimensioni tali da costituire rischio sistemico.
SRISK di Stati Uniti e Europa al 30.6.2016, in miliardi di dollari (fonte NYU Stern Volatility Lab)
Gli attuali livelli dell’indice SRISK dello Stern Volatility Lab sono inferiori ai massimi del 2009 e del 2012 ma molto superiori ai valori di dieci anni fa. Esiste una “questione banche”, ed è nell’agenda dei leader europei in queste ore, probabilmente non esiste una “questione Brexit” per quanto riguarda i rischi sistemici, continuare a concentrarsi sulla sola Brexit sarebbe come osservare l’albero e perdere di vista la foresta, medicare la gamba e non accorgersi della ferita al torace.
Brexit ha concorso al già lento cammino di normalizzazione dei tassi americani, con sollievo di Cina ed economie emergenti, ma non altera uno scenario globale in cui i profitti attesi di “Corporate America” sono modesti (e le valutazioni elevate), non convince la crescita dei profitti in Europa, innervata da rischi politici assortiti. Questo tempo così strambo esige autocontrollo, le risposte emotive sono sempre sbagliate, nella politica come nel portafoglio. In entrambi gli ambiti si devono evitare eccessi di reazione. Nei portafogli significa, sostiene Larry Hatheway di GAM, “concentrarsi sugli impatti di lungo periodo sui premi al rischio, sulla crescita del PIL, sulle risposte politiche, sugli utili aziendali”. Nel sorprendente recupero delle borse a dispetto degli utili aziendali sono entrati in gioco due fattori, tra loro legati. Il primo è il cosiddetto “effetto TINA”, There Is No Alternative. In effetti non ci sono molte alternative all’investimento azionario quando migliaia di miliardi di obbligazioni offrono rendimenti modesti o addirittura negativi.
Gli analisti di Deutsche Bank stimano che il premio al rischio sia ancora un 2% sopra la media storica degli ultimi 30 anni, dunque ci sarebbe spazio per una ulteriore gamba di rialzo di 200 punti. Ma le attese sugli utili, dicevamo sopra, restano grame, il secondo trimestre 2016 potrebbe essere il quarto consecutivo di utili societari al di sotto delle attese, autentica insidia al proseguimento del rally azionario. Siamo del parere che sia sempre buona norma ancorare le aspettative su indici e titoli alle attese sugli utili, non perdere di vista i fondamentali.