Commento a cura di Richard Flax, Chief Investment Officer di Moneyfarm.
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Commento a cura di Richard Flax, chief investment officer di Moneyfarm.
Alla fine il risultato è stato quello ampiamente atteso. Dopo due anni di strenui negoziati, la Brexit che Theresa May è riuscita a negoziare con l’Unione Europea è stata bocciata in modo sonoro dalla Camera dei Comuni (432 voti contrari e 202 favorevoli). La sconfitta di proporzioni storiche, secondo alcuni storici la peggiore di sempre per un governo nella storia secolare del parlamento britannico, ha portato i Laburisti a chiedere un voto di sfiducia.
Il lavoro che ha monopolizzato gli sforzi della politica e dell’amministrazione britannica negli ultimi due anni è stato dunque sconfessato dal Parlamento, con un voto che pesa come un macigno sul governo May, primo ministro pro tempore. Il risultato è frutto della mancanza di un’idea chiara su cosa voglia dire Brexit, una carenza preoccupante dal momento che sono passati più di due anni dal voto.
L’incertezza non riguarda solo la politica, ma si trasmette all’economia reale, alla società e ovviamente anche ai mercati finanziari. Ci troviamo in una situazione di stallo, nel quale un meccanismo di veti incrociati rende complesso qualsiasi progresso: per uscire da questa situazione non basta che si formi una maggioranza oppositiva, bisogna trovare una maggioranza che supporti una soluzione chiara e ben definita. Questa soluzione, che resta difficile a causa delle moltissime sfumature del fronte Brexit e da complessi meccanismi di rappresentazione del consenso, deve poi essere accettata dai 27 stati Ue, anch’essi portatori di diversi interessi e diverse visioni, anch’essi implicati in meccanismi pre-elettorali e politici.
Avvicinandosi la scadenza del 29 marzo, le probabilità di un’uscita brusca (senza nessun accordo) della Gran Bretagna dall’Ue crescono: se non si troverà nessuna soluzione, a oggi, tra due mesi avremo una Brexit dura (il risultato più rischioso in termini di mercato). Del fatto che il “no deal” sia la soluzione di default sono ovviamente ben consapevoli i sostenitori di esso, una minoranza interessata al prolungarsi dello stallo che ha già ottenuto la promessa di dimissioni da parte della May una volta chiusa la pratica. Una fazione che, bisogna sottolinearlo, resta una minoranza.
Per il momento il focus resta dunque sulle possibili alternative a un risultato che la maggioranza della politica e dell’elettorato vorrebbe evitare, ma soprattutto sul voto di fiducia di questa sera. Se sconfitta, May dovrà dimettersi. Non è chiaro quale sarà il risultato delle elezioni che seguirebbero: chiunque vincerà dovrà calibrare la propria proposta elettorale con la realtà che la scadenza elettorale si avvicina e che bisogna proporre una soluzione. A oggi non sembra esserci all’orizzonte un consenso possibile in Parlamento.
Se Theresa May sopravviverà al secondo voto di sfiducia in meno di un mese (soluzione che sembra lievemente più probabile in un contesto fluido che può cambiare di ora in ora), proverà a far riapprovare l’accordo il 21 di gennaio, tra meno di una settimana, cercando di negoziare con le posizioni specifiche anche di singoli parlamentari.
I vari membri del Parlamento potranno esprimere le loro opinioni nel tentativo di formulare una proposta che sia accettata dall’Ue, storicamente istituzione molto ferma nei negoziati, che sembra in questo momento disposta ad accettare solo cambiamenti di facciata all’accordo già in essere.
La soluzione più probabile resta comunque che il Regno Unito esca dall’Ue con un accordo in tasca, il 29 marzo o in una nuova data definirsi attraverso una richiesta dell’ultima ora di rinviare l’intero processo, ma oggi più che mai è difficile sposare una delle varie soluzioni. La stessa May, imbeccata da Jeremy Corbyn in Parlamento, non ha escluso, a questo punto, l’eventualità di una Brexit dura, in un tentativo di raccogliere consenso facendo leva sulla responsabilità dei parlamentari.
Molto probabile che la brexit resti un tema rilevante nella dinamica dei mercati almeno fino al 29 marzo, anche se il voto di ieri non ha colto certo di sorpresa gli operatori. La Sterlina continua a essere il modo principale con cui i mercati esprimono la propria visione sulla Brexit e per questo c’è da aspettarsi ancora volatilità nei prossimi mesi. Per quanto riguarda l’equity, le valutazione dei listini britannici sono interessanti anche se resta da capire quanto i mercati abbiano scontato le possibilità di una Brext dura (che resta nelle analisi degli operatori la soluzione ancora oggi meno probabile). La sensazione è che ci troviamo in una soluzione binaria, con uno scenario no deal in grado di condizionare negativamente la sterlina e i mercati britannici ed europei (in un contesto di rallentamento dell’economia continentale). E uno scenario deal con un esito comunque incerto ma in generale più apprezzato dai mercati.