Oggi la difficoltà dell’economia globale consiste nel far combaciare una domanda sostenuta con un’offerta limitata. La view di Daniel Morris, chief market strategist di BNP Paribas AM. Contenuto sponsorizzato.
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CONTRIBUTO a cura di Daniel Morris, chief market strategist di BNP Paribas Asset Management. Contenuto sponsorizzato.
Far ripartire un’economia globale sostanzialmente in panne si sta rivelando un’impresa ardua. La più grave (e brusca) recessione dagli anni ‘20 e le persistenti restrizioni anti-Covid hanno frenato l’offerta, mentre gli enormi stimoli fiscali e monetari hanno gonfiato la domanda. La difficoltà dell’economia globale consiste ora nel far combaciare una domanda sostenuta con un’offerta limitata. Il ripristino delle catene di approvvigionamento, la ricollocazione della manodopera e un nuovo equilibrio tra domanda e offerta saranno i fattori essenziali che determineranno sia la crescita economica nel 2022 che la forza e la persistenza dell’inflazione.
Con il sostegno fornito da governi e banche centrali dallo scoppio della pandemia il mondo non soffrirà di una carenza di domanda. La fiducia di consumatori e imprese è elevata: i privati spendono e le aziende investono. I problemi dell’economia mondiale derivano dall’incapacità di soddisfare questa domanda, sia per la mancanza di componenti o di lavoratori, sia per la difficoltà a consegnare i prodotti. Alcuni di questi vincoli alla produzione dureranno più a lungo di altri (in particolare la carenza di semiconduttori) ma alla fine si risolveranno, permettendo alle economie di tornare ai tassi di crescita tendenziali senza gonfiare l’inflazione. Nella maggior parte delle principali economie, i tassi di crescita del 2022 saranno superiori alla media (tra il 4% e il 6% negli Stati Uniti e in Europa), salvo poi ridiscendere nel corso dell’anno, man mano che la spinta impressa dalle riaperture si affievolirà e le economie recupereranno finalmente il terreno perso durante i lockdown.
I limiti del mercato del lavoro
Anche se ci aspettiamo che le difficoltà nelle catene di fornitura e nella produzione alla fine svaniranno, il mercato del lavoro potrebbe non tornare al punto in cui era prima della pandemia. A parità di condizioni, meno forza lavoro significa una minore produzione e verosimilmente una maggiore pressione salariale. Seppure non nell’immediato, le imprese finiranno per sostituire la manodopera con il capitale, migliorando la produttività. La ripresa dell’occupazione in Europa dovrebbe comunque avvenire più rapidamente e più agevolmente che negli Stati Uniti, grazie ad un maggiore ricorso agli ammortizzatori sociali. L’approccio americano di licenziare i lavoratori allo scoppio di una crisi implica tempi di ripresa più lunghi per l’occupazione, perché i dipendenti non tornano semplicemente al loro vecchio impiego, ma devono sostenere nuovi colloqui di assunzione. Vero è che a lungo termine questa dinamica può rivelarsi più favorevole per la crescita, visto che la 'nuova' configurazione del mercato del lavoro può adattarsi meglio ad un altrettanto 'nuovo' assetto economico.
I mercati azionari
Il 2021 sarà probabilmente il quarto anno consecutivo di sovraperformance delle azioni statunitensi rispetto al resto del mondo. Se si prendono a modello gli ultimi 50 anni di storia, nel 2022 i rendimenti USA potrebbero cedere il passo, visto che le precedenti 'serie vincenti' degli Stati Uniti non hanno mai superato i quattro anni (si veda Grafico 1).
Modelli a parte, ci sono buone ragioni per credere che il prossimo anno i rendimenti azionari statunitensi rimarranno indietro rispetto ad altre zone del mondo. Gli Stati Uniti hanno, infatti, riaperto la loro economia con un certo anticipo rispetto al resto del mondo, motivo per cui l’attività si è già ripresa dai lockdown e la crescita del PIL ha già superato i livelli pre-pandemia. Con il progredire delle riaperture in Europa e a cascata nei mercati emergenti, ci si attende un ulteriore slancio economico in queste aree. In termini assoluti, le valutazioni azionarie statunitensi sono elevate, ma a nostro avviso non rappresentano una minaccia per i rendimenti del mercato. Gli acquisti nell’ambito dei piani di quantitative easing (QE) hanno gonfiato i multipli che tuttavia rimarranno sostenuti almeno finché le obbligazioni resteranno nei bilanci delle banche centrali e i rendimenti a livelli storicamente bassi. Su base relativa, invece, le valutazioni delle azioni europee rispetto a quelle statunitensi hanno raggiunto i minimi storici (si veda Grafico 2).
Il motivo non è da ritrovarsi solo nei multipli elevati dei titoli delle mega cap tecnologiche americane; la maggior parte dei settori europei infatti scambia a sconto rispetto alle controparti d’oltreoceano. Il premio crescente assegnato alle azioni statunitensi non è ovviamente giustificato, dato che la crescita degli utili e la performance del mercato azionario europeo hanno tenuto il passo con gli Stati Uniti nel 2021 e le aspettative di profitto per il 2022 sono simili e parimenti modeste.
In particolare, si prevede che gli utili difficilmente aumenteranno nel 2021 per le società dell’indice MSCI China, a dimostrazione che la sottoperformance del mercato quest’anno non è stata immotivata. Altri mercati emergenti, in particolare i paesi esportatori di materie prime al di fuori dell’Asia e i produttori asiatici di semiconduttori, hanno evidenziato tassi di crescita di gran lunga migliori. D’altro canto, questi risultati brillanti alzano inevitabilmente l’asticella per il 2022, ragion per cui sarà meno probabile registrare rendimenti azionari superiori alla media.
Il fronte obbligazionario
Crediamo che le forti pressioni inflazionistiche continueranno fino al 2023, e anche se alla fine si riveleranno 'transitorie', saranno abbastanza vigorose e persistenti da costringere la Federal Reserve (Fed) statunitense a inasprire la sua politica prima del previsto. Anche fra i mercati e nei sondaggi è convinzione diffusa che le pressioni a breve termine finiranno per svanire. Sebbene le aspettative inflazionistiche per il prossimo futuro siano aumentate, le stime a più lungo termine sono allo stesso livello se non a livelli inferiori a quelli precedenti la crisi finanziaria globale. Queste aspettative d’inflazione a lungo termine contenute (o 'ben ancorate') possono riflettere o l’ipotesi di un rincaro “transitorio” dei prezzi o una fiducia nella credibilità delle principali banche centrali. È convinzione diffusa che un eventuale ampliamento e ulteriore radicamento dell’inflazione spingerà le banche centrali a reagire (seppur tardivamente) per riportare il tasso in linea col target. In quel caso a preoccupare gli investitori non sarebbe l’inflazione a medio termine di per sé, che a nostro avviso tornerà alla soglia prefissata, ma il tracciato dei tassi ufficiali da qui ad allora.
Molti degli eventi degli ultimi 15 anni non trovano precedenti nella storia, dalla crisi finanziaria globale, al quantitative easing, dalle pandemie ai lockdown. L’incertezza sulla rapidità e semplicità con cui l’economia globale ritroverà una 'nuova normalità' si riflette nella volatilità dei tassi d’interesse e nei divergenti approcci politici. Un esempio è la dispersione delle proiezioni interne allo stesso FOMC (Federal Open Market Committee) riguardo al tasso sui fed fund nel 2024, stimato in un intervallo particolarmente ampio che va dallo 0,6% al 2,6%.
I mercati si aspettano che la Fed aumenti i tassi più rapidamente (due volte nel 2022) di quanto previsto dai suoi stessi membri, dato che l’inflazione parrebbe più duratura ed elevata di quanto la banca centrale sarà disposta a tollerare. Nell’Eurozona, i mercati prevedono due rialzi ma non prima del 2023. A parte i prezzi del gas naturale, la pressione inflazionistica nella zona euro è meno accentuata perché lo stimolo fiscale è stato più contenuto e dunque la ripresa meno vigorosa. Resta da capire come la BCE (Banca Centrale Europea) intende gestire la revoca del PEPP (Pandemic Emergency Purchase Programme) e il rafforzamento dell’APP (Asset Purchase Programme).
A nostro avviso le aspettative del mercato si dimostreranno corrette e la Fed sarà costretta a rivedere la sua narrazione di un’inflazione passeggera. Il mercato del lavoro statunitense sembra destinato a raggiungere la piena occupazione prima del previsto grazie a tassi di partecipazione ancora inferiori ai livelli pre-pandemici e un conseguente aumento delle pressioni salariali. L’incremento dei rendimenti dei titoli di Stato sarà più evidente a cinque anni che in seguito, visto che le aspettative sui tassi ufficiali a breve termine aumentano più del tasso a termine. Il rialzo dei rendimenti dei Treasury a lungo termine sarà limitato dalle ridotte aspettative inflazionistiche e dalla portata del bilancio della Fed, che mantengono bassi i rendimenti reali.
Credito societario al sicuro
Anche se occasionalmente focolai di coronavirus frenano la crescita, la ripresa economica globale continua e le prospettive macroeconomiche ci sembrano favorevoli. Nel 2022 assisteremo inevitabilmente a un rallentamento dei tassi di crescita degli utili e ad un aumento dei tassi d’interesse, ma crediamo che la maggior parte delle aziende riuscirà a tenere fede agli obblighi di pagamento degli interessi programmati. Grazie al sostegno delle banche centrali durante i lockdown, le società hanno accumulato un’ampia liquidità che ha consentito loro di superare il crollo della domanda. Sebbene allora quest’ancora di salvezza si sia rivelata fondamentale per la sopravvivenza di molte aziende, ora solleva qualche preoccupazione sulla loro capacità di sostenere l’incremento degli oneri una volta che le condizioni finanziarie si saranno normalizzate. Con il forte rimbalzo degli utili aziendali, questi timori si sono finora dimostrati infondati. I rapporti tra debito netto ed EBITDA sono tornati ai livelli pre-pandemia, come pure il rapporto tra EBIT e interessi passivi.
Durante i cicli di inasprimento, il credito investment grade (IG) e high yield (HY) tende a sovraperformare i titoli di Stato, soprattutto all’inizio, ovvero prima che gli interventi sui tassi ufficiali siano tali da rallentare la crescita economica (si veda Grafico 3). Al momento la sfida per gli investitori risiede negli spread contratti, che offrono poco potenziale di rendimenti superiori alla media. Da parte nostra intendiamo approfittare di eventuali sell-off futuri per ampliare l’esposizione.
C’è stata una crescente divergenza nella crescita e nell’inflazione dei mercati emergenti. Alcuni Paesi, come India, Messico e Filippine, hanno subito una contrazione e una forte inflazione, mentre le economie orientate all’esportazione, come Corea del Sud, Taiwan e Hong Kong, hanno archiviato una crescita migliore e sono finora riuscite a tenere a bada l’inflazione. La pressione al rialzo dei prezzi al consumo e alla produzione ha già costretto le banche centrali dei mercati emergenti ad aumentare i tassi d’interesse che, secondo le previsioni, subiranno un incremento generalizzato nel 2022.
Se è vero che questo scenario è poco favorevole per i tassi dei mercati emergenti, crediamo che presenti al contempo opportunità selettive nella parte lunga della curva di alcuni mercati ad alto rendimento. In virtù delle valutazioni attuali, le obbligazioni dei Paesi emergenti continuano a offrire più valore rispetto alle controparti statunitensi. Mentre le obbligazioni IG e HY statunitensi continuano a scambiare ad uno spread ristretto (dall’1% al 2%) rispetto al range storico, c’è più margine di ulteriore contrazione dei differenziali per le obbligazioni IG e HY dei mercati emergenti.
Dal punto di vista delle valutazioni, le obbligazioni ad alto rendimento dei mercati emergenti sembrano particolarmente allettanti, in primis quelle asiatiche. Nonostante il probabile aumento dei casi di default in Cina da un livello di partenza attualmente basso, l’ampliamento degli spread ha permeato l’intera regione, aumentandone l’appetibilità in termini di valore relativo rispetto ad altri Paesi emergenti e al segmento HY globale. Con il recente sell-off, molte divise dei mercati emergenti sono tornate nuovamente attraenti; su base REER (tasso di cambio effettivo reale), il mercato valutario dei Paesi emergenti è più conveniente ora che dopo il 'taper tantrum' del 2013. L’America Latina e altri mercati emergenti ad alto rendimento, come pure le valute legate al petrolio, sembrano ancora sottovalutate.
Le valutazioni sono migliorate anche per molte divise asiatiche. Per il prossimo anno ci aspettiamo un incremento dei rendimenti del debito dei mercati emergenti in valuta forte, man mano che lo slancio della ripresa prenderà piede anche in questi Paesi e i timori sulla variante Delta del Covid si affievoliranno. Gli sviluppi in Cina si sono fatti più complessi, il che richiede un’attenzione particolare, vista anche l’ondata di cambiamenti normativi e di notizie su alcuni settori nazionali (ad es. quello immobiliare). Ci aspettiamo che il governo continui a sostenere l’economia e che la People’s Bank of China mantenga una politica più accomodante nel prossimo futuro.