Ecco perché oggi è più difficile seguire la teoria del portafoglio di Markowitz. Contributo a cura di Paolo Viale, CAIA, senior vice president, Client Advisory di Winton. Contenuto sponsorizzato.
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I crolli profondi e prolungati dei mercati azionari, come l'attuale collasso dovuto al coronavirus, possono infliggere danni persistenti agli investimenti poco diversificati. La risposta più adottata dagli investitori negli ultimi anni è stata quella di bilanciare l’allocazione azionaria più rischiosa con quella obbligazionaria a "basso rischio", in genere con una percentuale del 60% e 40%.
Secondo la teoria di portafoglio di Harry Markowitz, l'idea è che due classi di attività non correlate forniranno una diversificazione più efficiente. Negli ultimi 20 anni, le azioni e le obbligazioni sono state generalmente correlate negativamente, con i titoli del Tesoro statunitense che tendono ad aumentare quando le azioni statunitensi scendono. Ma le relazioni di mercato possono cambiare all'improvviso.
In realtà, le azioni statunitensi sono state per lo più correlate positivamente con i titoli del Tesoro dalla metà degli anni Sessanta alla fine degli anni Novanta, su base triennale. In altre parole, detenere il debito pubblico statunitense allora non avrebbe fatto quasi nulla per compensare le perdite nei corrispettivi titoli azionari. La correlazione positiva è stata la norma anche per i due decenni successivi al 1931.
La cieca fiducia nel reddito fisso come diversificatore rispetto all’azionario è anch'essa imprudente, dato che i rendimenti obbligazionari sono vicini allo zero o addirittura negativi. Per gli investitori ciò si traduce in prezzi più elevati e bassi rendimenti. Questo lascia la classe d'investimento dipendente da sostanziali aumenti di prezzo sia per i rendimenti positivi che per compensare eventuali perdite in azioni.
Il messaggio per gli investitori è chiaro: affidarsi alle sole obbligazioni per diversificare le partecipazioni azionarie può rivelarsi miope.
Fonte: Winton
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