Ricorre oggi il centenario del primo strumento di investimento nell’accezione moderna del termine. Per la prima forma di investimento collettiva occorre risalire al 1774. Il contributo di Donatella Strangio docente del Dipartimento Memotef, Facoltà di economia, Sapienza Università di Roma.
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CONTRIBUTO a cura di Donatella Strangio, docente del Dipartimento Memotef, Facoltà di economia, Sapienza Università di Roma.
L’ascesa della finanza, iniziata negli anni ‘70 del Novecento, dopo l’illusione di poter generare ricchezza e ridistribuirla in modo equo, ha prodotto una serie di conseguenze difficili in tutte le principali economie di mercato, accentuando comportamenti speculativi e avidi, presentandoli come atteggiamenti economicamente razionali.
Le innovazioni finanziarie, come i derivati, gli hedge funds, i private equities, seguite alla crisi degli anni ‘70 del secolo scorso e ritenute strategiche al fine di avviare un nuovo sistema economico e riattivare una sorta di “golden age” che aveva caratterizzato gli anni ‘50 e ‘60 del secondo dopoguerra, hanno amplificato la potenza della finanza sostenuta a sua volta dalle moderne tecniche informatiche. Si consideri che prima della crisi finanziaria del 2008 il volume delle attività finanziarie superava il livello del PIL di ben 10 volte negli Stati Uniti, di 12 in Giappone, di 7 in Italia, 8 in Germania, 9 in Francia.
Il ruolo della finanza nell’ascesa dell’Occidente
Il lato patologico della finanza non deve però offuscare il fatto che essa abbia giocato un ruolo importante nell’ascesa dell’Occidente, anche se dal punto di vista storico economico la sua effettiva funzione di sostegno e traino dei processi di sviluppo economico sia tuttora materia di discussione (Fornasari, 2019, pp. 2-3; tra gli altri si veda Ferguson, 2009; Kohn 2004; Della Torre, 1990).
Il termine finanza deriva dal vocabolo latino finare o finire: l’etimo della parola si ricollega a una anticipazione accordata in vista di un pagamento, di una determinata scadenza, con un inizio in vista di un fine: il fine e la fine della finanza coincidono (Amato e Fantacci, 2009, p. 8). Se si vuole allargare il campo, la struttura dei sistemi finanziari è dipesa e dipende dall’efficienza delle allocazioni delle risorse e dalla stabilità del sistema economico e, dunque, dalla crescita di un’economia. Secondo l’economista storico Richard Sylla, le economie che hanno conosciuto un più rapido sviluppo a partire dall’età moderna, come quella olandese, inglese e americana, hanno saputo meglio di altre dotarsi di un set di innovazioni finanziarie, cui è stato attribuito, in genere, un impatto “rivoluzionario” (nel termine di trasformazione e spinta alla crescita economica). In questo quadro l’attività finanziaria pubblica, inoltre, ha condizionato e condiziona l’attività finanziaria privata in un rapporto di concorrenza, complementarietà o sostituzione (Fornasari, 2019, p. 6).
Superare il “presentismo”
Il necessario richiamo al lungo periodo è un “antidoto” al presentismo e alla convinzione che solo i fenomeni attuali siano rilevanti; alla luce di quello che è avvenuto in passato e di ciò che è avvenuto più di recente, si rileva ancora una inadeguatezza della formazione impartita dal punto di vista finanziario.
Il lungo periodo consente pertanto di cogliere persistenze e mutamenti che hanno influito sulla formazione e il consolidamento dei sistemi finanziari ed evidenzia la complessità del reale che mette in rapporto fra loro fenomeni di natura diversa.
La storia della finanza in generale, come in altri ambiti, evidenzia la base del mutamento ed è rappresentata dalle innovazioni istituzionali. Come ci ha insegnato il premio nobel Douglass North (1990) le istituzioni sono le regole del gioco e quindi definiscono regole e nascita di nuovi organismi atti a metterle in atto. Per esempio, a partire dalla sorprendente espansione economica che, dall’XI-XII secolo, ha investito numerose aree dell’Europa mediterranea e nord occidentale, la crescita fu sostenuta da una serie di innovazioni finanziarie. Le innovazioni introdotte dal ceto mercantile nella “rivoluzione commerciale” risultarono decisive per ampliare e consolidare non solo i commerci con i ricchi mercati orientali, dai quali provenivano i prodotti richiesti dalle aristocrazie europee ma anche quelli che si svolgevano, con sempre maggiore intensità, all’interno del continente europeo.
La “compagnia di negozio”
La struttura delle imprese mercantili e bancarie, che all’epoca erano soprattutto “toscane”, era imperniata sulla compagnia di negozio, una delle nuove forme organizzative d’impresa scaturite nel pieno della trasformazione commerciale del lungo XIII secolo. Quest’ultima aveva avuto come effetto quello di vivacizzare la vita associativa, nel cui ambito emersero nuovi tipi di società d’affari che preannunciavano tipologie di imprese moderne. Le innovazioni che riguardavano l’ambito societario avevano alcune finalità e cioè: a) accrescere in modo significativo la mobilità di capitali; b) aumentare il rendimento degli investimenti; c) diversificare e suddividere i rischi connessi al commercio a lunga distanza (considerato all’epoca il business più remunerativo oltre che più rischioso).
Tra le altre innovazioni, la diffusione delle azioni delle compagnie commerciali e delle obbligazioni statali, nel corso dei secoli, accompagnarono la nascita di mercati finanziari pubblici che, nel corso del XVII secolo, si consolidarono in Olanda e in Inghilterra, dove la contrattazione del debito pubblico e dei titoli azionari si intensificò in modo significativo.
Il consolidamento dei mercati finanziari
Alla base del consolidamento dei mercati finanziari nel corso dell’età moderna vi fu la crescita di comportamenti economici “eterodossi” rispetto agli standard etici tradizionali, improntati all’azzardo e alla speculazione (Fornasari 2019, p. 49). Il gioco di borsa si avvalse anche della messa a punto del calcolo probabilistico che, avviata dal XVII secolo, consentiva di determinare valori di probabilità complesse e la maggiore o minore frequenza del verificarsi di eventi incerti (Poitras, 2000).
La borsa indicava un’unione di affari, i cui membri, banchieri mercanti, agenti di cambio, sensali, intermediari di diversa natura si incontravano quotidianamente per trattare beni e titoli finanziari (Fornasari, 2019; Strangio, 2022). Nel corso del tempo via via che si usciva dalla fase germinale della rivoluzione industriale e ci si addentrava nell’Ottocento l’aumento della produzione e le economie di scala rendevano necessari flussi finanziari sempre più elevati così come richiedevano lo sviluppo dei trasporti via terra e via acqua. Sino alle soglie del XX secolo, tuttavia, la capacità di raccogliere capitali emettendo azioni continuò a essere limitata dalla scarsa capacità di ottenere informazioni e dalla percezione da parte dei potenziali investitori degli elevati rischi connessi all’esercizio delle attività industriali.
La nascita dei fondi comuni
All’interno di questo sintetico quadro storico finanziario che evidenzia l’importanza delle istituzioni e delle innovazioni finanziarie, i fondi comuni sono nati proprio per avvicinare il mondo degli investimenti finanziari alle persone. Questa tipologia, di cui quest’anno ricorrono i 100 anni dalla sua istituzione , permette a chi risparmia di contenere i rischi, attraverso la diversificazione, rispetto a un investimento sul mercato in un singolo titolo. È possibile aderire a un fondo comune anche con piccole somme di denaro. I fondi e i loro gestori sono “prodotti” regolamentati, quindi chi aderisce ha la garanzia che il suo patrimonio sia al sicuro, ma in questo modo quei risparmi che non andrebbero mai sul mercato sono sollecitati dall’avere una regia più “tranquilla” e meno aleatoria rispetto alla mera speculazione finanziaria.
La deregulation, la globalizzazione sistemica, cui abbiamo assistito e stiamo assistendo in questi ultimi trent’anni, portano incertezza e volatilità in coloro che non avendo dimestichezza e cultura finanziaria tesaurizzano i loro risparmi che in questo modo non entrerebbero nel processo produttivo e, quindi, non stimolerebbero il sistema economico.
Una storia più antica
La nascita del primo fondo comune della storia viene fatta risalire al 1774. Abraham Van Ketwich, un mercante e broker olandese, che convinse diverse persone a sottoscrivere un negotiatie, cioè “un affare”, chiamato Eendragt Maakt Magt (Credem, 2023). Invece, nel 1924, negli Stati Uniti, veniva istituito il primo fondo comune d'investimento nella forma che ancora oggi tutti gli investitori conoscono e che all'epoca rivoluzionò il mercato aprendo le porte degli investimenti a milioni di americani. Il fondo si chiamava Massachusetts Investors Trust e a lanciarlo (proprio il 15 luglio 1924, ndr.) era stata la Massachusetts Financial Services, società ancora oggi attiva nella gestione del risparmio dove è conosciuta con il nome abbreviato di MFS.
Una contrapposizione tra sistemi finanziari
I fondi comuni sono alcune delle innovazioni finanziarie rivolte a soggetti non esperti del mercato finanziario. Dietro la tradizionale contrapposizione tra sistemi finanziari che privilegiano il ricorso al mercato (nel mondo occidentale principalmente Stati Uniti e Inghilterra e Olanda) o che esaltano il ruolo degli intermediari finanziari (come in Italia) è possibile scorgere un diverso radicamento delle due istituzioni. Il processo di deregulation coincise con la fine dell’economia mista, i cui prodomi erano riconducibili già a partire dalla fine degli anni ‘70 del Novecento. Le crisi economiche degli anni ‘70 del secolo scorso ebbero profonde conseguenze sul sistema finanziario. Durante quel decennio, nel nostro Paese, si intensificarono le tendenze a un maggior ricorso agli intermediari creditizi da parte delle imprese anche in conseguenza della prima crisi petrolifera del 1973 e degli aumenti salariali, che ridussero i margini di profitto. Inoltre, le necessità finanziarie delle imprese, aggravate dalla introduzione nel 1973 del massimale di credito, poterono essere soddisfatte solo da una espansione dell’intervento finanziario dello Stato che sopperì in tal modo all’asfitticità del mercato mobiliare (Fornasari 2019)
Il ruolo delle banche nel sistema finanziario
Anche se il sistema italiano si è finanziarizzato a seguito della globalizzazione finanziaria, le banche continuano ad esercitare, però, un ruolo fondamentale nel sistema finanziario italiano. Più che altrove in Europa, la loro relativa supremazia si è rafforzata nel corso del primo decennio del 2000 (Fornasari 2019). Ciò, però ha contribuito paradossalmente a spiegare le loro attuali difficoltà generate dalla Grande Crisi del 2008-2010, che ha colto molte di loro fortemente esposte verso il sistema industriale italiano. Ciononostante, i fondi comuni di investimento, introdotti nel 1985, hanno gradualmente assunto una posizione di notevole rilievo nel sistema finanziario italiano, sino a rappresentare una quota del totale delle attività finanziarie delle famiglie di poco inferiore a quella dei depositi bancari, e a divenire, come già accaduto in altri paesi, lo strumento di gestione collettiva del risparmio più largamente utilizzato, proprio per la loro natura non “aggressiva”.
Le cause del “ritardo” dell’Italia
Come scrive Larry Neal, fondamentalmente, ogni innovazione del passato ha creato sfide alle istituzioni separate del governo, delle banche e dei mercati dei capitali per determinare come incorporare e utilizzare le innovazioni a reciproco vantaggio. Le risposte sono state diverse nel tempo e tra i vari Paesi, ma quando il successo si manifesta in un contesto, deve avere effetti di ricaduta che, alla fine, hanno portato all'attuale trionfo della finanza globale nel primo decennio del ventunesimo secolo.
Alcune importanti lezioni sono già state apprese e messe in pratica dai principali responsabili politici. Tuttavia, come diversi storici economici hanno indicato nei loro lavori per i particolari casi di studio, la possibilità di inversioni di tendenza è sempre presente, di solito, a causa della reazione dei governi che cercano di proteggere i loro elettori dal confronto con le forze di mercato estranee e impersonali scatenate dalle innovazioni del capitalismo finanziario.
La differente intensità e le peculiari modalità con cui nei diversi paesi si sono formate le istituzioni finanziarie hanno così contribuito a dare vita a peculiari “tradizioni”. Riflettendo l’evoluzione passata le istituzioni hanno influenzato le caratteristiche della crescita e dello sviluppo economico, condizionando il presente e il futuro e questo spiega il ritardo con cui vengono adottate alcune istituzioni come quella dei fondi comuni in alcuni Paesi rispetto ad altri (come è stato il caso dell’Italia).