Il declino dei tassi di interesse: troppo risparmio?

Giacomo Saibene Notizia
Giacomo Saibene, Ph.D., Analista Investment Solutions, Quaestio Capital SGR

Contributo a cura di Giacomo Saibene, Ph.D., analista Investment Solutions di Quaestio Capital SGR.

Negli ultimi decenni si è assistito ad un marcato declino dei tassi di interesse a lungo termine in tutte le principali economie avanzate. Alcuni economisti ipotizzano addirittura che questo declino sia secolare ed ebbe inizio già nel XIV secolo. Senza andare così indietro nel tempo, cosa può aver determinato questo fenomeno e, di conseguenza, cosa potremmo aspettarci nel prossimo futuro?

Il tasso di interesse: equilibrio tra risparmio ed investimento

Il tasso di interesse è la principale variabile tramite cui l’offerta di risparmio tende a bilanciarsi con la domanda di investimento, in modo da garantire l’uguaglianza tra investimento e risparmio, una fondamentale identità economica, sempre valida per definizione. Una diminuzione del tasso di interesse di equilibrio avviene perciò o perché aumenta l’offerta (risparmio) e/o diminuisce la domanda (investimento). Negli ultimi decenni si sono verificate entrambe le cose, anche se ci concentreremo ora soltanto sulle dinamiche del risparmio.

L’offerta di risparmio in tempi recenti: le saving gluts

Nel 2005, il poi presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke, tenne un famoso discorso in cui argomentò come i bassi tassi di interesse a lungo termine di allora, soprattutto in confronto all’aumentare dei tassi a breve termine determinato della FED (cosa che Greenspan definì un conundrum), fosse prevalentemente dovuto a dinamiche di risparmio al di fuori dei confini statunitensi. Infatti, in un’economia aperta, il gap tra risparmio ed investimento può essere compensato dal saldo delle partite correnti, in buona approssimazione, la bilancia commerciale: un maggior valore di importazioni rispetto alle esportazioni, cioè un deficit di partite correnti, equivale a risparmio “importato” dall’estero, che si unisce al risparmio domestico per uguagliare il livello di investimento. Bernanke intendeva proprio questo: gli Stati Uniti importavano risparmi dal resto del mondo, per mezzo di un ampio deficit di partite correnti, intorno al 4-6% del PIL tra il 2000 e il 2008 (Figura 1). Questi risparmi arrivavano da Paesi emergenti, come la Cina, ed esportatori di petrolio, come il Medio Oriente, che invece di finanziare i propri investimenti (ciò che si presumeva dovessero fare i paesi in via di sviluppo) esportavano risparmio in ingenti quantità, accumulando dollari statunitensi investiti principalmente in buoni del Tesoro. Perciò, i tassi di interesse erano bassi per questo aumento dell’offerta di risparmio dal resto del mondo: una global saving glut.

Figura 1. Saldo di partite correnti, USA, 1960-2019; %PIL

Fonte: US Bureau of Economic Analysis, Integrated Macroeconomic Accounts (Table S.2.a).

Gli altri attori che determinano l’offerta di risparmio sono: governo, famiglie e imprese. Storicamente, il governo ha sempre domandato risparmio, per finanziare la spesa pubblica, mentre le famiglie lo hanno quasi sempre offerto, ad eccezione degli anni 2005-06, nel pieno boom del mercato immobiliare, spesso finanziato a debito. Infine, le imprese (non finanziarie) sono spesso considerate come un settore che domanda risparmi dal resto dell’economia, per finanziare i propri investimenti produttivi. Tuttavia, nel 2002-2006 e ancor di più nel 2009-2016 le grandi imprese americane hanno fatto proprio l’opposto, offrendo risparmi invece che domandarne, per un ammontare di quasi il 3% del PIL: una corporate saving glut. (Figura 2).

Figura 2. Risparmio netto delle imprese non finanziarie, USA, 1960-2019; %PIL

Fonte: US Bureau of Economic Analysis, Integrated Macroeconomic Accounts (Table S.2.a)

Disuguaglianze e risparmio

Oltre alle dinamiche intersettoriali che abbiamo descritto, dove l’offerta di risparmio veniva prima dal resto del mondo e poi dalle imprese, vi sono anche delle importanti dinamiche intra-settoriali, in particolare all’interno del settore delle famiglie. Gli economisti Mian e Sufi hanno recentemente documentato come vi sia una sempre maggiore divergenza tra i risparmi della quota più ricca della popolazione (top 1%) rispetto alla maggioranza della popolazione (bottom 90%). Dagli anni ’80 in poi, i risparmi del top 1% sono aumentati di circa il 3% PIL, un ammontare del tutto simile a quanto proveniente dal resto del mondo o dalle imprese, mentre i risparmi del bottom 90% sono diminuiti di un’entità addirittura maggiore e diventando sempre più negativi (cioè accumulando debiti): una saving glut of the rich. Tuttavia, questa dinamica è stata più difficile da individuare in quanto, in aggregato, le famiglie non hanno quasi modificato il loro livello di risparmio negli anni, ma lo hanno fatto eccome intra-settorialmente.

Il tasso di interesse nel futuro

L’insieme di queste dinamiche di “eccesso” di risparmio, se rimarranno in essere nei prossimi anni, contribuiranno certamente a mantenere basso il tasso di interesse di equilibrio. In particolare, il divergente risparmio tra ricchi e middle class sembra proprio essere un fenomeno con un’alta inerzia, difficilmente reversibile in pochi anni. Non c’è qualcosa che potrebbe invece determinare un’inversione di tendenza? Alcuni pensano che nella società odierna vi sia un rischio di forte instabilità politico-sociale (cfr. Turchin), che, di conseguenza, potrebbe impattare fortemente su queste dinamiche e sui mercati finanziari in generale. Altri pensano che un grosso cambiamento arriverà dalla demografia (cfr. Goodhart e Pradhan): in un mondo relativamente più anziano, i risparmi dovranno essere spesi, spingendo al rialzo i tassi di interesse. Tuttavia, sia pensando al caso del Giappone sia ricordandoci di chi siano le persone che effettivamente detengono i risparmi, cioè la quota più ricca della popolazione, a cui immaginiamo starà a cuore conservare il patrimonio accumulato per le generazioni future, ci sembra poco probabile una variazione di tali dinamiche di lungo periodo.