Commento a cura di Giuseppe Donvito, Partner del fondo di Venture Capital P101
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“Insegnerò all’intelligenza artificiale a riconoscere i miei amici quando bussano alla porta”. Così ha scritto Mark Zuckerberg in un suo recente post in cui dichiarava di voler costruire la “propria” Intelligenza Artificiale entro l'anno. Una passione non nuova per il creatore di Facebook che già nel 2014 era al centro di un altro investimento legato all’intelligenza artificiale: ben 40 milioni di dollari destinati a “Vicarious” (azienda specializzata in AI) insieme all’attore Ashton Kutcher e a Elon Musk, il fondatore di Tesla. L’obiettivo che Vicarious si poneva era – e probabilmente lo è ancora – ambizioso: replicare la neocorteccia, ovvero quella parte del cervello umano che vede, controlla il corpo, capisce il linguaggio e sa fare i conti.
L'intelligenza artificiale è una tecnologia destinata a trasformare tutti i settori dell’economia. Un impatto non banale in quanto con questa tecnologia si “addestrano” le “macchine” a pensare e prendere decisioni come esseri umani, con una piccola differenza (almeno sino ad oggi...), ossia che tutte le decisioni sono empiriche e quindi basate sull’analisi di dati. Ed è qui che l’intelligenza artificiale si compenetra al mondo dei cosiddetti Big Data.
Un mercato in grande crescita che si stima possa raggiungere, nel 2022, a livello globale, i 40 miliardi di dollari. Una delle ragioni che lo ha fatto diventare attrattivo anche per il mondo del Venture Capital: nel 2014 sono stati investiti circa 300 milioni di dollari in startup operanti nell’ambito dell’AI con una crescita del 300% rispetto al 2013. Anche grandi player come Google hanno iniziato a muoversi con interesse. Il colosso di Mountain View ha infatti recentemente messo a segno un’altra acquisizione in questo settore, rilevando la britannica Deep Mind per oltre 500 milioni di dollari. Si tratta di una compagnia londinese che opera in quel ramo dell’intelligenza artificiale definito il deep learning, che consiste in una serie di tecniche e tecnologie informatiche – nella fattispecie degli algoritmi di calcolo statistico – afferenti alla branca dell’AI e dell’apprendimento automatico. Questi algoritmi sono strutturati in diversi livelli di astrazione che hanno lo scopo di permettere al sistema informatico di comprendere, più o meno, come funziona il cervello umano e come quest'ultimo analizzi e interpreti, ad esempio, il linguaggio umano o le immagini che gli arrivano dal nervo ottico.
Gli effetti dell’intelligenza artificiale saranno dirompenti in tutti i business. Basti pensare che grazie all’AI i computer potranno capire cosa gli utenti umani scrivono all’interno dei social website come Facebook (e quindi interagire) o capire cosa vogliano cercare realmente, quale sia il loro stato d’animo, se l’immagine che hanno appena visualizzato gli sia piaciuta oppure no. Dirompenti saranno anche i suoi effetti sull’e-commerce. Come sostiene Babak Hodjat, co-fondatore di Sentient Technologies, (una delle società di AI che ha ricevuto più investimenti ad oggi – $143 milioni), l’AI sarà in grado di rivoluzionare l’e-commerce, facendolo diventare intelligente (intelligent e-commerce). Basandosi sulla modalità con cui l’utente interagisce con un sito di acquisti online, sulle spese passate, sul modo con cui osserva lo schermo, un algoritmo software sarà in grado di identificare autonomamente il prodotto che l’utente vorrebbe acquistare e quindi inviare il design di quel prodotto ad una stampante 3-D che lo realizza al momento! Hodjat ha definito tutto ciò “design automatizzato”, ossia dotato di intelligenza artificiale, diciamo noi...
Oltre a ciò, l’AI inaugurerà una nuova era del “consumer”. Si pensi che già oggi delle tecniche definite di analisi predittiva permettono di dedurre trend futuri basandosi su serie storiche di dati; l’utilizzo dell’intelligenza artificiale permetterà di andare oltre, ossia qualora dovessimo avere dei gap rilevanti in tali serie storiche, le applicazioni basate su AI saranno in grado di dedurre i dati da inserire in tali gaps in maniera “intelligente”.
Molto rumore c’è stato recentemente su una delle applicazioni più evidenti e disruptive dell’AI, ossia nella robotica: in particolare, la possibilità di costruire robot intelligenti che diventino parte integrante delle nostre vite. Un recente report di Bank of America Merrill Lynch ha concluso che la nascita di “macchine intelligenti” è da considerarsi la prossima rivoluzione industriale.
La combinazione di AI, deep learning e natural user interfaces (ad esempio, riconoscimento vocale) sta rendendo sempre più vicina l’automatizzazione di una serie di task lavorativi che fino a qualche tempo fa si pensava fosse impossibile realizzare con una “macchina”. Su questo punto si è aperto un incerto dibattito fra chi sostiene che il potenziale effetto di lungo termine sarà la scomparsa di posti di lavoro e chi ritiene che invece tali tecnologie apriranno le porte a nuove opportunità professionali.
E’ come sempre complesso ad oggi individuare le conseguenze di tale rivoluzione, ma l’unica certezza resta il fatto che il management di ogni azienda dovrà sin da subito cercare di individuare gli impatti dell’intelligenza artificiale sulla propria value chain, in quanto (come menzionato da Roland Berger) l’effetto “transformational” sarà a dir poco drammatico, con il rischio implicito che un giorno il management stesso sia sostituito da macchine intelligenti...