Investire in materie prime?

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In una fase di mercati cari, azionari e obbligazionari, viene naturale cercare valore tra quelle asset class che non si trovino su massimi storici. Le materie prime sono una di queste e vale quindi la pena approfondire. La crisi del 2008 ha inizialmente colpito i Paesi sviluppati e il loro sistema finanziario, ma presto ha avuto effetti anche su una serie di temi d’investimento che avevano generato rendimenti positivi per oltre un decennio, tra cui le materie prime. Nonostante l’oro abbia visto nuovi massimi più avanti nel 2011, in concomitanza con la crisi dell’Eurozona, i metalli preziosi, quelli industriali, i prezzi agricoli e le materie prime energetiche trattano oggi su minimi post crisi e si trovano in un bear market ormai di lunga data.

Le cause di questo calo dei prezzi sono numerose, sia di tipo fondamentale che tecnico.Tra le ragioni fondamentali, la più citata è il rallentamento delle economie dei Paesi emergenti, non solo asiatiche ma anche latino-americane ed est-europee: si tratta di aree che hanno visto negli ultimi decenni una crescita legata soprattutto a investimenti infrastrutturali e ad alto consumo di materie prime.La ripresa delle economie dei Paesi sviluppati, partita nel 2010 negli Stati Uniti e solo recentemente in Eurozona, non sembra tale, al momento, da compensare la domanda mancante dai Paesi emergenti, sia per i numeri più contenuti sia per il fatto che si tratta di economie a minor consumo di materie prime.

Dal punto di vista dell’offerta, il decennio 2000-2010 ha permesso ai produttori di generare ampi profitti e re-investirli in capacità produttiva e in nuovi progetti, come quelli legati allo shale oil negli Stati Uniti o altri nel settore del gas. La nuova offerta risultante da questi progetti sta arrivando in questi anni su mercati meno ricettivi, accentuando il calo dei prezzi. In alcuni casi la nuova offerta arriva da progetti che avevano come premessa prezzi di vendita più alti, mettendo quindi in difficoltà ai livelli attuali molte aziende produttrici. La crisi finanziaria ha generato un aumento della domanda di beni rifugio come l’oro, che non a caso ha fatto un massimo nei giorni peggiori della crisi in Eurozona. Questa ricerca di beni rifugio era legata ad un’idea di instabilità del sistema monetario e bancario tale spingere gli investitori su beni “reali”, il cui valore potesse proteggere il portafoglio da scenari iper-inflattivi o di totale disintegrazione del sistema.

Attualmente, sia negli Stati Uniti sia nelle altre aree sviluppate, sembra che le politiche di quantitative easing siano state ben tarate, con immissione di una liquidità sufficiente a far funzionare i mercati ma non tale da creare spirali inflazionistiche o di sfiducia nel valore delle monete. La tesi di chi comprava oro non fidandosi dell’aggressività delle banche centrali è quindi al momento una tesi perdente, almeno alla luce degli attuali dati d’inflazione nelle economie sviluppate. Il boom delle materie prime era anche arrivato in una fase di forte sviluppo di indici che permettevano ad investitori finanziari, a cui era impossibile investire in beni fisici, di prendere posizione sul mercato futures delle materie prime e quindi a varie strategie in grado di generare esposizione sia a questi beni sia a dinamiche specifiche dei futures.

L’investimento finanziario in materie prime ha avuto la sua massima fioritura nel periodo 2006-2008, quando mercati cari (spread bassi, valutazioni alte delle azioni…) avevano creato una grande domanda di esposizioni alternative. Il mercato future racchiude alcune delle potenziali fonti di profitto per chi investe su materie prime, legate alla forma delle curve futures. Soprattutto per quanto concerne il settore dell’energia, negli ultimi decenni questa componente è stata fonte di profitto per via di una curva tipicamente a pendenza negativa. Oggi la curva ha pendenza positiva, per cui questa fonte di rendimento non è al momento presente. I prezzi bassi delle materie prime sono quindi dovuti ad alcune ragioni profonde e manca un “driver” forte tale da giustificare una presa di posizione netta a favore di un rimbalzo.

Alcune considerazioni però vanno fatte:

-       il mercato delle materie prime è forse l’unico in cui è in corso una chiaro tentativo di trovare un equilibrio tra domanda e offerta in linea con i fondamentali: non c’è alcuna strategia di quantitative easing o simile che influenzi il mercato falsandone il valore segnaletico.

-       le materie prime restano un investimento “reale”: anche se il legame tra il prezzo di questi beni e l’inflazione non è certo e nel breve può essere instabile, si tratta pur sempre di uno dei modi con cui difendersi dal rischio di future sorprese inflazionistiche, che oggi non si vedono ma che sono possibili in un mondo in cui la politica monetaria è orientata a far salire i prezzi nell’economia.

-       l’economia mondiale continua a crescere, anche se a tassi più bassi: la domanda di materie prime, legata a crescita economica e demografica, presenta quindi un trend che nel lungo periodo è positivo, comunque la si veda.

-       la forma della curva futures nel settore energetico oggi non permette di beneficiare di un premio per il rischio positivo, ma questa situazione non è detto che rimanga tale per lungo tempo.

 

Se da un lato risulta difficile una presa di posizione netta a favore delle materie prime, dall’altro il livello dei prezzi e considerazioni relative ad altre asset class possono giustificare l’inizio di una fase di accumulazione, almeno con ottica di medio-lungo periodo.