Nell’Eurozona e in Giappone la ripresa dalla crisi finanziaria sta richiedendo più tempo che altrove: nel 2014 il prodotto interno lordo (PIL) dell’area euro non era ancora tornato ai livelli del 2008. Ciò significa che l’Europa è diventata obsoleta? Assolutamente no. Senza dubbio l’economia europea è tornata indietro di diversi anni e la crisi ha messo in luce i problemi connaturati all’Eurozona fin dalla sua creazione, ma c’è anche un aspetto positivo: la crisi ha spinto i leader politici ad agire, portando con sé l’unione bancaria, l’adozione di norme comuni, i meccanismi di salvataggio istituzionalizzati e da ultimo, ma non meno importante, l’apertura di un dibattito da lungo atteso sulle necessarie riforme strutturali. Per fortuna, su questo fronte siamo andati oltre la fase di confronto. Gli stati Baltici, l’Irlanda, il Portogallo e la Spagna, per esempio, hanno già compiuto notevoli progressi e anche dall’Italia arrivano segnali incoraggianti. Le nostre stime per il 2015 indicano una crescita dell’1,3% per l’Eurozona, quindi siamo usciti dalla modalità di crisi.
Col senno di poi, dobbiamo riconoscere che l’Eurozona ha sottostimato la gravità della situazione e la necessità di interventi decisivi, perdendo un’infinità di tempo che la BCE ha poi dovuto recuperare con una serie di misure di politica monetaria. Sebbene questi interventi siano stati ampiamente criticati, non dimentichiamoci che non sappiano quali contorni avrebbe assunto l’Europa senza di essi. Come più volte ripetuto dalla BCE, una ripresa sostenuta dell’Eurozona presuppone un intenso lavoro politico. Ma senza la disciplina imposta da rendimenti governativi adeguati al rischio, tutti gli stati membri sono tentati di moderare il proprio zelo per le riforme. E qui la colpa non è solo delle economie in difficoltà. Persino il governo tedesco, ”primo della classe” in Europa, sta nuovamente distribuendo regali che di sicuro non aiuteranno a superare le prossime sfide.
Il problema maggiore sono le forze centrifughe scatenate dalla crisi, che tendono a disgregare entità fondate sulla fiducia quali l’Eurozona e l’UE. Gli arraffatori di voti politici, sempre più numerosi, non fanno che amplificare tali forze. Trovo molto preoccupanti i recenti successi dei partiti populisti. Che siano di destra o di sinistra, questi partiti sono accomunati da un atteggiamento distruttivo nei confronti dell'Europa. I cittadini frustrati si lasciano coinvolgere più facilmente dai movimenti che combattono contro qualcosa, piuttosto che contro qualcuno. Purtroppo, l’esperienza della Grecia dimostra che non possiamo sperare che una volta al potere questi partiti populisti agiscano in maniera più sensata.
Le sfide dell’Europa si concentrano essenzialmente in Grecia. Vorrei illustrare questo punto con tre brevi esempi. Il successo dei partiti populisti in tutta Europa dimostra che i greci non sono i soli a cedere alla tentazione di attribuire i problemi del Paese non alle proprie azioni, bensì a circostanze esterne. Né sono gli unici che preferirebbero trovare una scorciatoia, piuttosto che percorrere una strada lunga e irta di ostacoli. Un altro aspetto in comune e, secondo me, una delle maggiori sfide per la Grecia e per l’Europa, è il fatto che entrambe sono giunte a un punto in cui hanno bisogno di politici coraggiosi con un orizzonte di ampio respiro, pronti a rischiare la propria carriera per l’imperativo di lungo termine. Politici che lottino affinché i cittadini tornino a sostenere il progetto di un'Europa unita, invece di sacrificare questa idea per una manciata di facili voti. E che non temano di rivelare ai propri elettori gli ostacoli che dovranno superare lungo questo percorso.
L’Europa non ha bisogno di nascondersi

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