L'inflazione è un bene o un male?

Roberto_Rossignoli__Asset_Allocation_Analyst_di_MoneyFarm
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Dal 2008 gli investitori di tutto il mondo stanno guardando attentamente ai loro radar, in perenne attesa del prossimo cataclisma finanziario. E nel 2016, c’è un sacco di carne al fuoco. La Cina, che durante gli anni dopo della crisi fece da contrappeso al rallentamento delle economie sviluppate, ora viene passata al setaccio dagli investitori globali, in cerca del definitivo segnale dell’“atterraggio duro” della sua economia. Dei famosi Paesi Brics, campioni della crescita economica nella decade passata, solo l’India sembra essere una relativamente affidabile opportunità d’investimento, se paragonata a una Russia circondata dall’incertezza e il Brasile in profonda recessione. Il mercato obbligazionario ad alto rendimento, sotto stress dall’inizio del 2015, genera paure di un ulteriore allargamento degli spread societari, che è uno degli indicatori chiave di crisi economica. Tutto questo, unitamente alla volatilità recente dei mercati, ha fatto dimenticare agli investitori una misura importante che può dirci molto di più riguardo la situazione economica corrente: l’inflazione.
 
Cos’è l’inflazione e come impatta sugli investimenti.

L’inflazione è definita come la crescita in termini percentuali di un Indice dei Prezzi. Misura quindi quanto i prezzi di un determinato paniere si sono mossi in un determinato periodo di tempo (di solito un mese o un anno) e permette a risparmiatori e consumatori di avere un’idea di come il loro potere d’acquisto sia cambiato durante quel lasso di tempo. Oltre che a risparmiatori e consumatori, l’inflazione è molto usata dagli economisti come indicatore della “salute” economica di un Paese e gli investitori la monitorano attentamente dato che dice loro qual è stato il rendimento reale di un investimento. Quando si parla di ritorno di un investimento, di solito si considera il ritorno nominale, ma è importante aggiustare il dato per l’effetto dell’inflazione. Si consideri ad esempio un’obbligazione governativa brasiliana a 10 anni, che attualmente ha un tasso di rendimento pari al 16%; a prima vista sembrerebbe un rendimento molto attraente, ma se si prende in considerazione l’inflazione brasiliana, che attualmente è all’11%, si nota come per un investitore domestico brasiliano, il movimento verso l’alto dei prezzi diminuirà di conseguenza il suo potere d’acquisto, portando il ritorno reale del bond al 5%.
 
L’inflazione può essere misurata guardando alla variazione di diversi Indici di Prezzo, a seconda dei beni e servizi inclusi nel paniere. Il più comune è l’Indice dei Prezzi al Consumo (IPC), che include prodotti come il carburante, cibo, vestiario e automobili; un altro paniere molto popolare è l’Indice dei Prezzi alla Produzione (IPP), che invece misura il cambiamento medio nel tempo nei prezzi di vendita di produttori di beni e servizi. L’IPC misura quindi la dinamica dei prezzi dalla prospettiva del compratore mentre l’IPP quantifica lo stesso fenomeno, ma visto dalla prospettiva del venditore.
 
Perché l’inflazione è importante, soprattutto adesso.

Le banche centrali sono responsabili della politica monetaria, controllando l’ammontare di moneta che fluisce nell’economia. Dato che l’inflazione misura il cambiamento dei prezzi, e i prezzi sono legati a quanta moneta è in circolazione, politica monetaria e inflazione sono molto collegate. Per un lungo periodo, la politica monetaria è stata focalizzata prevalentemente sulla stabilizzazione del tasso di cambio, dato che regimi come il Gold Standard imponevano spesso tassi di cambio fissi. Quando la curva di Phillips è divenuta poi di moda e le banche centrali hanno riconosciuto un legame tra inflazione e disoccupazione, si è iniziato a dare priorità all’occupazione domestica. Con la stagflazione (alta inflazione e bassa crescita economica), la curva di Phillips è stata smentita, e gli economisti hanno realizzato che il meglio che una banca centrale possa fare per aumentare l’output di lungo periodo è di rendere la propria politica il più trasparente e chiara possibile, definendo pubblicamente determinati obiettivi su determinate grandezze economiche che possano essere un buon termometro dell’economia.

Dopo aver provato ad adottare un target di massa monetaria, molti istituti centrali hanno iniziato quindi ad adottare un target d’inflazione. La prima è stata la banca centrale neozelandese, mentre la Fed solo nel 2012 ha dichiarato pubblicamente che il 2% di tasso d’inflazione è il più consistente nel lungo periodo con gli obiettivi statutari dell’istituto. Capire come l’inflazione sia arrivata ad essere un target primario per le banche centrali permette di capire meglio il ruolo di questa grandezza economica nell’attuale contesto. Attualmente, il motore dei prezzi di asseti finanziari sono le politiche degli istituti centrali; un’inflazione più forte del previsto può indurre le banche centrali a inasprire le proprie politiche, mentre un’inflazione più debole può portare a un ulteriore allentamento, con profonde conseguenze sui mercati.
 
Avere inflazione è un bene o un male?

Non è facile giudicare se l’inflazione sia buona o cattiva. Dal punto di vista di un risparmiatore e di un consumatore, un incremento più lento dei prezzi sembrerebbe positivo, ma non è per forza così. L’inflazione influenza persone diverse in modi diversi, e dipende anche dal fatto che sia attesa o meno. In uno scenario d’inflazione inaspettatamente alta, i creditori perdono e i debitori guadagnano, se chi ha prestato il denaro non anticipa correttamente la dinamica dei prezzi, l’incertezza sul futuro rende e società e i consumatori meno inclini a spendere e chi vive di rendite finanziarie, come i pensionati, vedono diminuire il loro potere d’acquisto. Al contrario, un’inflazione molto bassa potrebbe indicare che l’economia si sta indebolendo o, come attualmente in Europa, che l’economia è stagnante. Una bassa inflazione può condurre a tassi d’interesse più bassi, una capacità di risparmio indebolita e destabilizzare il sistema finanziario. Se la caduta dei prezzi continua, allora il debito, fissato in termini nominali, diventa più difficile da essere rimborsato e un IPP in continua discesa compromette la produzione industriale, visto che le società vedono i loro prodotti perdere di valore.
 
Ad oggi, l’inflazione è diminuita livello globale. Parte della causa può essere attribuita al crollo dei prezzi di energia e materie prime, che sono incluse nel paniere usato per calcolare l’IPC e l’IPP.

Ma anche l’inflazione di fondo (calcolata escludendo l’effetto dei beni alimentari e dell’energia, le componenti più volatili) stenta a ripartire. Le cause possono essere molto varie, come ad esempio in Europa e Giappone dove un mercato del lavoro inefficiente tiene bassi i salari, e nonostante la disoccupazione in calo, la crescita dei salari è nulla, tenendo bassi i prezzi e causando sia una domanda debole (punto di vista dei consumatori), sia abbassando i costi di produzione e di conseguenza il prezzo che essi applicano (punto di vista dei produttori).

Cosa ci aspetta.

Il rialzo dei tassi di deposito negli USA a dicembre 2015 è stato un buon segnale, in quanto mostra come, per la Fed, il target del 2% è stato raggiunto ed è sostenibile. Ma è stato una mossa solitaria in uno scenario che vede le altre banche centrale allentare le proprie politiche monetarie. Il proseguire delle politiche di Quantitative Easing e tassi d’interesse a zero, da un punto di vista monetario, potrebbero indicare un futuro rialzo dell’inflazione, nello stesso modo, è possibile sperare prima o poi in un rimbalzo delle materie prime, e di conseguenza, negli indici di prezzi.

D’altro canto, il rallentamento della crescita globale, poca pressione al rialzo dei salari e ribassi nella spesa dei consumi e nelle vendite al dettaglio stanno compromettendo il rimbalzo nell’inflazione. Una domanda più debole, collegata alla crescita più bassa, può produrre salari più bassi, e a una spesa minore, che va ad accrescere i pericoli per la domanda globale. Inoltre, i programmi di Quantitative Easing hanno, finora, fallito nel generare inflazione attraverso il canale monetario dando poche speranze di un rimbalzo inflazionistico nel breve periodo.