Le banche europee e la pandemia da Covid-19

David Zahn, Head of European Fixed Income, Senior Vice President, Franklin Templeton

Contributo a cura di David Zahn, Head of European Fixed Income e Tom Petersson, VP/Research Analyst, Franklin Templeton Fixed Income, Franklin Templeton. Contenuto sponsorizzato.

La pandemia di COVID-19, che ha colpito l’Europa con particolare durezza, ha innescato non solo una crisi sanitaria, ma anche enormi sfide economiche. L’economia europea dipende fortemente dalla solidità finanziaria del suo sistema bancario: dalle banche europee arriva circa il 70% dei finanziamenti alle imprese e il 90%[1] di quelli alle famiglie, una percentuale doppia e tripla rispetto agli Stati Uniti, dove i finanziamenti dipendono fortemente dai mercati dei capitali[2]. Sinora le banche europee hanno retto bene alla pandemia di COVID-19, beneficiando delle ampie misure politiche di sostegno sul piano fiscale e della liquidità oltre che della flessibilità dimostrata dalle autorità di regolamentazione. A differenza della crisi finanziaria globale (CFG) del 2008-2009, non abbiamo (ancora) assistito a una stretta creditizia, poiché i programmi di finanziamento garantiti dal governo e il generoso programma TLTRO[3] hanno permesso al credito di continuare a fluire verso l’economia reale.

Queste misure, insieme alle moratorie sui rimborsi, hanno limitato le inadempienze dei mutuatari indotte dall’illiquidità di breve periodo e hanno permesso alle banche di accantonare gradualmente riserve a copertura delle perdite sui prestiti per contenere al minimo l’impatto sugli utili. Le banche europee sono entrate nella crisi del COVID-19 con bilanci generalmente solidi. Il coefficiente patrimoniale medio CET1[4] del settore segna i massimi post-crisi finanziaria globale e si posiziona saldamente al di sopra dei requisiti di capitale. Allo stesso modo, anche le posizioni liquide sono buone, sebbene aiutate dai livelli straordinari di finanziamento della banca centrale.

Tuttavia, a differenza dei bilanci che rimangono in prevalenza solidi, la redditività evidenziava già una certa debolezza all’inizio della crisi in corso. Alla fine del 2019, le banche hanno riportato una redditività media del patrimonio netto (ROE) intorno al 6% appena e quasi la metà di esse non riuscivano a recuperare il costo del capitale. Nei primi nove mesi del 2020, il ROE medio è arretrato al 2,5% appena[5], principalmente a causa dell’aumento dei crediti in sofferenza. Le perdite dovute al deterioramento dei crediti sono spesso espresse in termini di percentuale dei prestiti in essere attraverso un rapporto denominato costo del rischio (CoR). Il CoR comunicato è aumentato di circa 2,5 volte rispetto ai livelli del 2019, ma per la maggior parte delle banche è ancora ben al di sotto dei picchi osservati nelle precedenti crisi finanziarie (vedi Figura 1).

Costo del rischio nei primi 9 mesi del 2020 rispetto ai picchi delle crisi finanziarie

Dati a settembre 2020

A nostro giudizio, le ragioni sono: (i) l’ampio pacchetto di sostegno fiscale e di liquidità, che (sinora) ha impedito una stretta creditizia; (ii) il basso livello dei tassi d’interesse, che rende più sostenibile il debito dei mutuatari; infine, (iii) il fatto che il COVID-19 non sia una crisi innescata dal credito. Nei due anni precedenti la CFG, i prestiti nell’eurozona crescevano in media del 9-12% annuo, rispetto al 2-3% appena dei due anni che hanno preceduto la pandemia di COVID-19. Di conseguenza, i portafogli di prestiti sono generalmente più datati e non si è verificato lo stesso allentamento degli standard di credito.

Guardando al futuro, le prospettive di svalutazione dei prestiti sono incerte e dipenderanno dalla velocità del lancio del vaccino. Nel 2021 i vertici bancari si stanno sforzando di abbattere marginalmente il CoR rispetto al 2020, ma di fronte alla stretta del secondo lockdown europeo esiste una chiara spinta a rivedere al rialzo questo indice.

Pur riconoscendo il contesto incerto, sulla base della nostra analisi dettagliata crediamo che gli utili pur modesti della maggior parte degli istituti di credito riusciranno a coprire le previste future svalutazioni dei prestiti, minimizzandone l’incidenza sulle posizioni patrimoniali.

Le agenzie di rating hanno reagito all’insorgere della pandemia di COVID-19 rivedendo in senso fortemente negativo le prospettive del settore bancario europeo e attribuendo molteplici valutazioni negative che hanno comportato una serie di declassamenti. Negli ultimi mesi questa tendenza si è attenuata, con la rimozione di alcuni rating negativi e la revisione in stabile di alcune prospettive.

Noi di Franklin Templeton combiniamo una dettagliata analisi fondamentale bottom-up con una valutazione macroeconomica top-down per identificare le opportunità che offrono un interessante profilo di rischio/rendimento. I principali rischi per le banche nell’attuale scenario derivano da un deterioramento dell’economia più prolungato di quello attualmente previsto e da un ritiro prematuro degli attuali pacchetti fiscali e di liquidità, prima che l’economia si sia completamente ripresa.


Quali sono i rischi principali?

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[1]Fonte: Ricerca interna FTI, Banca centrale europea (esclude il settore bancario ombra).

[2]Fonte: Deutsche Bank Research.

[3]Operazioni mirate di rifinanziamento a più lungo termine, che sono state introdotte dalla Banca Centrale Europea per fornire finanziamenti agli istituti di credito.

[4]Common Equity Tier 1

[5]Fonte: Autorità bancaria europea, “Dati relativi al Risk Dashboard nel T3 2020”, gennaio 2021.