Lo Stato, i risparmiatori e la partecipazione al sistema pensionistico

luigi-guiso
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Con l’evoluzione delle economie, la crescita indubbia della loro complessità e le nuove responsabilità dello Stato nell’economia anche i rapporti tra Stato e risparmiatori hanno subito una notevole evoluzione.

Nel 19-mo secolo vigeva un regime di laissez faire. Gli individui badavano da soli ai propri risparmi soprattutto quelli per la pensione, senza l’ombrello protettivo dello Stato e senza un ruolo attivo di quest’ultimo nel regolare i rapporti tra risparmiatori e mercato finanziario. Le cose cambiano profondamente, addirittura si ribaltano, nella prima metà del 20-mo secolo. Domina l’intervento dello Stato che vara i primi programmi di sicurezza sociale e fa nascere i sistemi pensionistici a benefici definiti. È l’affermarsi del Welfare State. Lo Stato impone a ciascun individuo la partecipazione forzata al sistema. Si afferma una visione paternalista in cui lo Stato si sostituisce al mercato e alla libera determinazione dell’individuo. Nella seconda metà del 20-mo secolo il pendolo cambia nuovamente muovendo un passo indietro: si riconosce l’importanza delle esigenze del singolo e si rinuncia a predeterminarne del tutto le scelte. All’individuo si chiede di essere corresponsabile e partecipare alla scelta.

Nei sistemi pensionistici si afferma l’idea di corrispondere benefici in funzione dei contributi versati anziché di determinare i benefici pensionistici sulla base degli anni di lavoro, la posizione in carriera e i salari percepiti alla pensione.  Di questa filosofia vi è chiara traccia anche nella riforma pensionistica italiana. Nella gestione dei risparmi per la pensione, si chiede ai risparmiatori di partecipare attivamente indirizzando l’allocazione dei risparmi. La regolamentazione diventa più soft, e chiama in causa direttamente l’individuo, confidando sull’idea che se adeguatamente informato può migliorare le proprie scelte e costituire un efficace elemento di disciplina dei mercati. Si afferma l’idea della “disclosure”, da cui discendono i chilometri di carta che riceviamo da banche, fondi, siti che vendono prodotti finanziari che ci chiedono di prendere visione e controfirmare.

Ora anche questa fase è in via di superamento e sta cedendo il passo allo Stato “suggeritore” – in cui l’influenza dello Stato regolatore sulle scelte individuali, per guidarle verso obiettivi desiderabili dallo stesso individuo, avviene attraverso il disegno dell’architettura all’interno della quale la scelta avviene. L’esempio più significativo sono la diffusione delle default options: la scelta che viene selezionata se si decide di non optare per una tra due (o più) alternative. Questa evoluzione, fatta di cicli di ottimismo verso la capacità decisionale dell’individuo seguiti da acute fasi di scetticismo, è sia il frutto delle modifiche che avvengono nei mercati sia nell’evoluzione del pensiero economico e scientifico sul comportamento dei risparmiatori. Lo Stato paternalista alle origini dei sistemi di welfare è sia il riflesso dello scarso sviluppo dei mercati sia di una visione scettica sulla capacità dei risparmiatori di badare a se stessi.

Lo Stato regolatore dei rapporti tra istituzioni finanziare e risparmiatori e ancor più quello dello Stato “osservatore” riflette il grande sviluppo dei mercati finanziari che hanno mostrato di poter fare ciò che prima veniva fatto dallo Stato e della crisi, per ipertrofia, del welfare state. Ma anche del ri-affermarsi dell’idea liberale che i risparmiatori sono agenti razionali, che possono essere ingannati una volta ma non ripetutamente e che sono in grado meglio di chiunque altro di badare ai propri interessi – soprattutto che nessuno spende i soldi degli altri meglio del legittimo proprietario. È la rivincita dello spirito di Milton Friedman, dal quale le frasi precedenti sono mutuate, reso popolare nelle sue trasmissioni televisive titolate “liberi di scegliere” (free to choose).

Lo Stato “suggeritore” riflette congiuntamente il riemergere in nuove forme del vecchio scetticismo sul grado di razionalità dei risparmiatori e la loro abilità a orientarsi in sistemi finanziari molto, forse troppo complessi, a iniziare dalla vastità dei menù da cui operare le scelte. Complessità frutto a sua volta dell’impeto della differenziazione del prodotto che caratterizza i processi di crescita economica e finanziaria. Ma sono anche il riflesso del successo, empirico e analitico, delle scienze comportamentali e della corposa evidenza dei limiti cognitivi dei risparmiatori. È anche questo che ha fatto oscillare nuovamente il pendolo.

Quale sarà il prossimo passo? Forse uno in cui lo Stato regolatore emana norme e disegna istituzioni e politiche così da massimizzare il benessere dei risparmiatori tenendo conto, stavolta nella giusta misura, della razionalità, limitata ma non troppo, dei risparmiatori.

Tratto dal blog Risparmiamocelo  di AcomeA SGR.