Mercati al varco del reality check

Fiorini
Fabrizio Fiorini, Responsabile Investimenti e Vice Direttore Generale di Pramerica SGR

Contributo a cura di Fabrizio Fiorini, responsabile degli Investimenti e vice direttore Generale di Pramerica SGR.

Il mese di maggio e la parte iniziale del mese di giugno si sono caratterizzati per un rialzo dei mercati azionari che, come nel caso dell’indice S&P 500, hanno raggiunto valori in linea con quelli di inizio anno. Dalla speranza che la situazione potesse gradualmente migliorare dal punto di vista sanitario ed economico, si è passati a un clima caratterizzato da una sorta di euforia, supportato dalla convinzione che le ingenti manovre fiscali e monetarie avessero potuto porre le condizioni per uno scenario di crescita migliore di quello precedente. Questo scenario ha dei fondamenti, perché è verosimile ipotizzare che queste misure possano produrre risultati significativi nel medio termine, ma i mercati sono andati ad anticipare in maniera eccessiva uno scenario del quale, molto probabilmente, avremo visibilità solo nella seconda parte dell’anno. Dopo l’euforia, ora i mercati si trovano nella fase del “reality check”; nelle prossime settimane, infatti, i dati macro definiranno la portata di questa crescita, ma, soprattutto, l’andamento degli utili aziendali.

Attualmente, pur in presenza di un calo degli utili statunitensi stimato nell’ordine del 10/15%, l’indice S&P 500 mostra un andamento leggermente negativo da inizio anno, che implica aspettative per un recupero significativo delle dinamiche degli utili nei prossimi 6-9 mesi. Riteniamo che questo assunto sia corretto potenzialmente, ma troppo anticipato in termini temporali. Per questo motivo, il “reality check” dovrebbe favorire una correzione contenuta dei mercati, senza riportarli, però, verso i minimi registrati in precedenza. 

La correzione dei listini azionari dovrebbe avvenire all’interno di uno scenario che rimane moderatamente positivo per le altre asset class, in primis quella corporate. Questa, infatti, potrà beneficiare dell’ingente quantità di liquidità presente nel sistema, degli acquisti delle Banche centrali e di ridotte esigenze di rifinanziamento da parte delle società, visto il numero di emissioni già collocate. I rendimenti dei titoli governativi dovrebbero rimanere contenuti, considerando anche la disponibilità da parte delle Banche Centrali a immettere liquidità e a mantenere i tassi ufficiali sugli attuali livelli, come recentemente fatto dalla FED che ha annunciato l’intenzione di tenere i tassi a zero almeno fino al 2022.

In termini di asset allocation, la scelta è quella di ridurre l’esposizione all’asset class azionaria per poter operare in maniera più flessibile sulle correzioni, andando a ricostruire certe posizioni. Questo approccio appare giustificato sulla base dell’azione delle politiche monetarie e fiscali. La strategia di incrementare le posizioni, verrà attuata in presenza di correzioni che portino i valori dei mercati più distanti dai livelli toccati nella prima parte di giugno, quando non venivano prezzate perdite sugli utili aziendali. La riduzione dell’asset class azionaria dovrebbe essere quindi temporanea, in attesa di avere una maggiore visibilità sugli utili.

Le posizioni sull’asset class corporate si mantengono in sovrappeso. Nel lungo termine c’è spazio di restringimento, ma nel breve si preferisce mantenere le posizioni attuali e su eventuali allargamenti che potrebbero seguire la correzione dell’equity, incrementare le posizioni, in particolare, sul comparto BBB e BB. Per quanto concerne il comparto investment grade, si ritiene che la compressione degli spread sia stata più completa e, pertanto, su questa parte è stato preso profitto. 

Nel breve termine la correzione dei mercati azionari potrebbe dare sostegno ai titoli governativi; la presenza delle Banche Centrali rimane un elemento di supporto per i bond governativi, i cui rendimenti sono destinati comunque a rimanere bassi a lungo, anche se la pressione delle forti emissioni per finanziare i deficit e il miglioramento potenziale delle prospettive getta qualche nube all’orizzonte. La view nei confronti dei BTP resta moderatamente positiva. Si ritiene opportuno mantenere il sovrappeso nei confronti dei BTP, con la possibilità di ridurre le posizioni al raggiungimento di certi livelli di spread.

Per quanto concerne il dollaro, vi sono degli elementi strutturali che penalizzano la valuta statunitense. La crescita americana, infatti, non sarà molto più forte di quella europea e il differenziale dei tassi rimarrà prossimo allo zero per un periodo prolungato. Inoltre, se la prospettiva per i mercati azionari è quella di una stabilizzazione anche con una temporanea correzione, non esiste più un vantaggio per il dollaro in chiave di “divisa rifugio”. Da un punto di vista politico, un’eventuale sconfitta di Trump, che allo stato attuale appare lo scenario più probabile, potrebbe impattare negativamente sul dollaro. Gli interventi di politica economica annunciati da Biden potrebbero tradursi in una riduzione del vantaggio fiscale a favore delle aziende e ciò potrebbe portare a un’uscita di capitali dagli USA. Alla luce di questi elementi, la pressione nei confronti del dollaro dovrebbe aumentare e da questo punto di vista la posizione di sottopeso acquisisce ulteriormente una valenza strutturale.