Opinione a cura di Marc Craquelin, direttore della gestione di La Financière de l'Echiquier.
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“In questa fase critica, mentre affrontiamo insieme la storia, dobbiamo ricordarci che la sola cosa da temere sia la paura stessa”.
Di recente abbiamo sentito queste parole a conclusione di un discorso di Alexis Tsipras al popolo greco. Franklin Roosvelt le aveva già pronunciate nel 1933, in piena crisi bancaria. La forma, efficace, all’epoca mirava a rassicurare i cittadini degli Stati Uniti, allo stesso modo in cui ora ci permette di guardare nella giusta prospettiva le possibili conseguenze della crisi greca. Molti osservatori hanno tracciato un parallelo tra l'eventuale fallimento dello stato greco e quello della banca americana Lehman Brothers sette anni fa - con le conseguenze che conosciamo. Accettare questo scenario, presuppone che, come la banca americana, la Grecia possa a sua volta trascinare nella sua caduta una parte dell'economia mondiale. Dobbiamo temere il peggio per il nostro contesto economico e finanziario? No, diciamolo chiaramente: la situazione non ha nulla a che vedere con quanto accaduto nel 2008. Il mondo della finanza non teme un default del debito greco più di quanto tema il default recentemente annunciato da Porto Rico. Nel lungo termine, le prospettive sull’Europa restano interessanti.
Grecia: un rischio ansiogeno ma non sistemico
I progressi dei negoziati tra la Grecia e i suoi creditori hanno dato il via a un’intensificazione della volatilità di breve termine sui mercati finanziari, rafforzata dalla vittoria del «no» al referendum sull’accettazione del piano di austerità. Al momento in cui scriviamo questo documento, la conclusione esatta della crisi è ancora sconosciuta. È stato infine trovato un accordo tra i leader della zona euro, che potrebbe evitare un’uscita della Grecia dall’euro zona (la famosa Grexit tanto temuta dai mercati). Ma l’accordo dovrà essere avallato dai diversi parlamenti europei e inoltre le riforme necessarie dovranno essere effettivamente attuate in Grecia.
Qualunque sia l'esito della crisi greca, tuttavia, una cosa è certa: non ha più la natura sistemica che poteva avere nel 2010-2011. Sono state istituite diverse misure di protezione e i mercati finanziari mantengono la calma di fronte a una situazione già inquadrata dalle banche centrali, BCE in testa. Inoltre, non va dimenticato che l'influenza economica della Grecia è limitata: rappresenta solo il 3,3% della popolazione della zona euro, l'1,8% del PIL e il 0,5% delle transazioni commerciali a livello europeo.
Europa vs Stati Uniti: Vecchio continente in vantaggio!
In definitiva, quel che conta per gli investitori oggi è recuperare visibilità. Noi siamo convinti che, una volta dissipati i timori legati alla Grecia, gli investitori torneranno a concentrarsi sui buoni fondamentali della zona euro, in particolare la ripresa della crescita economica e le revisioni degli utili societari. Questa dinamica positiva all’opera nella zona euro da diversi mesi, è sostenuta da tre tendenze di fondo:
- la discesa dei prezzi del petrolio: -45 $ nel 2014, ha rappresentato un vero e proprio catalizzatore per i consumi!
- il deprezzamento dell'euro, i cui effetti più positivi devono ancora emergere;
- la politica monetaria ancora accomodante della BCE. Il programma di acquisto di asset annunciato nel mese di gennaio 2015 è attivo da marzo ei primi effetti sono già visibili: i flussi netti dei prestiti bancari sono in crescita, e i consumi in netta ripresa.
Tutto porta a ritenere che il potenziale di recupero dei mercati europei per il secondo semestre sarà significativo, soprattutto se paragonati agli Stati Uniti dove il ciclo di mercato è ben più maturo. Dopo la significativa sovraperformance del mercato USA negli ultimi due anni (+ 48% per l'S&P 500 contro il 19% dello Stoxx Europe 600, tra dicembre 2012 e dicembre 2014), la maggior parte del ciclo è stata percorsa e il momentum macroeconomico ha cambiato direzione nel corso del primo semestre 2015. L'aumento dei profitti aziendali (+49% negli Stati Uniti dal 2010, contro il 3% della zona euro nello stesso periodo) sta rallentando, mentre in Europa si sta riprendendo. Infine, l'aumento dei tassi d’interesse è solo una questione di settimane, anche se la posizione ancora accomodante della Fed mantiene dubbio sul momento esatto della manovra.
Azionario o obbligazionario?
Il contesto macroeconomico suggerisce di privilegiare le azioni, soprattutto quelle europee. Questa asset class è già valutata correttamente, ma dovrebbe continuare a offrire ottime opportunità nei prossimi mesi. Il ritorno di fusioni e acquisizioni e la forte ripresa delle IPO in Europa negli ultimi 18 mesi puntano fortemente in questa direzione. L'universo obbligazionario suggerisce cautela. Tuttavia, se ci teniamo a distanza dal debito sovrano e rimaniamo investiti con convinzione e selettività nelle obbligazioni corporate di breve termine, il rendimento resta interessante.
L'azione della BCE esclude ogni possibilità di crollo del mercato obbligazionario e consente di controllare la volatilità sulle scadenze brevi, in caso di aumento dei tassi a lungo termine europei. In conclusione, l'ottimismo rimane la parola d'ordine per il secondo semestre 2015. L'attuale volatilità del mercato europeo dovrebbe portare opportunità di acquisto una volta che le acque si saranno calmate: gli investitori si concentreranno sui fondamentali dell'area dell'euro (rafforzamento della crescita economica e dinamica rialzista delle revisioni degli utili), con la BCE ancora impegnata ad arginare sia il rischio di contagio greco sia il rischio di un crack obbligazionario.