Commento a cura di Matteo Paganini, chief analyst di FXCM Italia.
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Non vi è dubbio che uno dei protagonisti assoluti non solo del 2015, ma anche di questo incipit del 2016, sia il petrolio. Dall’inizio dell’anno il greggio (WTI) è sceso da quota 38 dollari/barile a minimi intorno a 27.50, prima di correggere a rialzo grazie a prese di profitto, che comunque non hanno spinto il prezzo a tornare sui livelli di chiusura del 2015. Le ragioni che stanno alimentando ulteriori vendite possono essere sintetizzate nel rallentamento della crescita globale e quindi della domanda aggregata cui è legato a doppio filo lo slowdown dell’economia cinese, il che a sua volta ha condotto ad eccessi di produzione e crescente gap tra domanda e offerta, che ha scatenato una guerra dei prezzi tra Opec (tutt’altro che compatto) e industria dello Shale Oil (offerta). Se a ciò aggiungiamo la consistente forza dell’USD nell’ultimo anno e mezzo, si spiega per la gran parte la dinamica di storico ribasso del prezzo.
La Cina ha spostato il proprio focus d’attenzione dalla massimizzazione della crescita economica al raggiungimento di una crescita sostenibile nel tempo. Il rallentamento globale e i timori legati a potenziali discese delle borse americane, in seguito alle decisioni della Fed, hanno impattato consistentemente sui flussi di investimento rivolti al dragone. Le ripercussioni sul valore dello yuan (in forte discesa e, per la prima volta, sostenuto dalla Banca Centrale) sono state notevoli e, con esse, si sono verificate importanti fuoriuscite di capitali esteri. Attualmente, il tasso di crescita è inferiore al 7% e in futuro sarà importante concentrarsi anche sulla crescita delle domanda interna, il che non prescinde comunque dalla necessità di approvvigionamento sul fronte energia la cui domanda, insieme a quella di petrolio, potrebbe ripartire nel momento in cui la crescita sarà trainata dalla creazione di una domanda interna aggregata sufficientemente ampia da essere considerata un’importante componente del Pil.
Durante l’ultimo meeting dell’Opec non sono stati ritoccati i livelli di produzione giornaliera di petrolio. L’Arabia Saudita ricopre un ruolo di rilievo e sembra non voler spingere verso modifiche alla produzione per mantenere le proprie quote di mercato, soprattutto adesso che l’Iran si riaffaccerà sul mercato, con l’ulteriore obiettivo di mettere in difficoltà i nuovi produttori americani, che utilizzano tecniche di estrazioni meno costose rispetto alla trivellazione classica (sgretolamento di rocce ed estrazione del liquido). Questo sta impattando sul prezzo del petrolio, anche a causa degli alti livelli di scorte presenti nell’industria che inibiscono un eccesso di domanda rispetto alla produzione in atto.
Dove si fermerà questa discesa che pare senza freni?
La nostra opinione su possibili rinnovate discese è rimasta pressoché intatta, anche in questo inizio d’anno. Quando ragioniamo sulla situazione attuale e prospettica del prezzo del petrolio, l’idea è quella di concentrarsi sia su dinamiche macroeconomiche - che attualmente non danno adito a pensieri a sostegno di strutturali ripartenze - sia su livelli tecnici - che fino a quando non mostreranno il raggiungimento dell’area che passa per 43.50 - non ci porteranno a valutare ripartenze sensibili delle quotazioni. Oltre a questo, non dobbiamo dimenticare le correlazioni con il dollaro, il quale potrebbe mostrare delle frenate da qui a quando si formeranno aspettative razionali circa il prossimo rialzo di tassi negli USA. Mossa che porterebbe forse ad ulteriori rivalutazioni del biglietto verde e risultare propedeutica ad ulteriori stalli dei prezzi dell’energia.