Contributo a cura di Chia-Liang Lian, Head of Emerging Markets Debt di Western Asset (affiliata del Gruppo Legg Mason). Contenuto sponsorizzato.
I recenti dati sul Pil del primo trimestre 2019 dicono che l’economia cinese è cresciuta del 6,4% anno su anno, dunque allo stesso ritmo del trimestre precedente e all’incirca come nel primo trimestre 2009, dopo lo scoppio della crisi finanziaria. Nonostante ciò, si è trattato di una sopresa al rialzo: l’opinione maggioritaria prevedeva infatti un 6,3%.
In effetti, alcuni dati sembrano anticipare l’arrivo di un consolidamente ciclico. L’indice PMI di marzo si è attestato a 50,5, interrompendo una striscia negativa di rilevazioni inferiori alle attese nei mesi precedenti. Recentemente, il Fondo Monetario Internazionale ha rivisto le sue stime per il Pil cinese nel 2019 da 6,2% a 6,3%, il che rappresenterebbe un buon risultato, se non contrastasse con le stime al ribasso per i paesi del G7.
Per gli investitori globali, l’economia cinese è semplicemente troppo grande per essere ignorata. Analizzare la Cina però è spesso tutt’altro che semplice, a causa di storici problemi con la qualità dei dati e le disparità regionali. Le incongruenze tra differenti serie storiche rendono difficile intuire i trend di breve periodo. L’indice Li Keqiang, creato un decennio fa, era un tentativo di rinconciliare queste differenze, ma è diventato ormai meno affidabile perché troppo focalizzato sul settore industriale. A differenza dei Paesi sviluppati, nei mercati emergenti come la Cina i prezzi dei titoli azionari non sono mai stati un barometro affidabile della situazione macro di un Paese, a causa della predominanza di aziende controllate dallo stato.
Tuttavia, nonostante tutti i limiti delle statistiche ufficiali, gli operatori del mercato guardano con grande attenzione ai dati del Pil cinese, spesso non tenendo conto che i driver della crescita si stanno spostando dal commercio e dagli investimenti ai consumi domestici. Con l’emergere del ceto medio, il fatturato dell’e-commerce ha vissuto infatti una crescita esplosiva. L’equivalente del Black Friday in Cina registra il doppio delle vendite rispetto agli Stati Uniti. L’indice PMI dei servizi è costantemente in modalità espansiva. Non a caso, due terzi della crescita del primo trimestre 2019 viene dai consumi interni.
Dopo quattro decenni di liberalizzazione del mercato, la pianificazione centralizzata resta comunque elemento guida dell’economia, in cui gioca un ruolo decisivo. Di conseguenza, le divergenze di opinione tra gli osservatori della situazione cinese si concentrano sulle intenzioni del governo, ossia su quanto sia capace e abbia la volontà di corregere gli squilibri macro. Nel breve termine, le autorità cinesi hanno dimostrato la loro determinazione a mitigare i rischi per l’economia: la revisione al rialzo del FMI deriva anche dalle varie politiche di stimolo introdotte nella seconda metà del 2018.
Visto quanto detto finora, è bene distinguere la traiettoria ciclica dalla direzione secolare. Sul lungo termine, infatti, il rapido invecchiamento della popolazione cinese suggerisce senza dubbio un tasso di crescita inferiore. Di fatto, gli obiettivi di crescita del governo si sono ridotti dall’8% del 2011 al 6,0-6,5% di quest’anno. Crediamo che questo graduale abbassamento delle aspettative di crescita sia necessario e desiderabile. È sicuramente possibile che l’obiettivo ufficiale si orienti più verso il 5% nei prossimi 3-5 anni.
Volendo dare degli spunti di riflessione sulla stabilità della Cina, dobbiamo concentrarci principalmente su cosa crediamo non accadrà. Di base, non ci aspettiamo una replica del precedente boom trainato dalle infrastrutture, e per questo motivo i Paesi emergenti molto legati alle materie prime dovrebbe aveere qualche motivo di preoccupazione. In generale, non si tratterà di un percorso senza scossoni. La Cina è una grande economia, molto variegata, con ancora significativi eccessi strutturali (come il divario nella distribuzione del reddito). Errori nelle misure di politica economica, per quanto poco probabili, accentuerebbero questi squilibri. La buona notizia però, per gli investitori globali, è che la robusta crescita della seconda più grande economia al mondo dovrebbe comunque fornire una rete di protezione a breve termine nel caso di un crollo della crescita globale.