Quali sono le prospettive alla luce del possibile intervento sui tassi della FED?

Emilio_Franco_DEF
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Il contesto di crescita moderata nei Paesi sviluppati e in stabilizzazione in quelli emergenti, in un quadro di inflazione contenuta, consente alle banche centrali di rimanere molto accomodanti. La stessa Fed, destinata con ogni probabilità ad alzare i tassi in dicembre per la prima volta dal 2006, accompagnerà tale azione con una comunicazione molto prudente, sul percorso di uscita dal regime di tassi a zero che la politica monetaria seguirà nei prossimi anni. La BCE dal canto suo, sempre nell’ultimo mese dell’anno, ha chiaramente guidato il mercato verso un’estensione del programma di Quantitative Easing e la banca centrale giapponese, lontana anch’essa dalla realizzazione dell’obiettivo di inflazione, è probabile che nei prossimi mesi arrotondi al rialzo il piano di allentamento quantitativo.  

È questo uno scenario favorevole alle classi di attività più rischiose, in particolare le azioni, che sono attraenti valutativamente rispetto alle obbligazioni governative, caratterizzate da rendimenti compressi. I mercati “equity” da preferire sono quelli di Euro Zona, la periferia con l’Italia in particolare. Il ciclo macro è in consolidamento, supportato dall’azione della BCE, un euro debole, tassi molto bassi, condizioni finanziarie estremamente favorevoli, credito in ripartenza, commodities fortemente deprezzate e una domanda domestica in accelerazione. Tutto ciò dovrebbe riflettersi in positivo sulla dinamica degli utili aziendali e sostenere le valutazioni e le performance borsistiche. Il posizionamento degli investitori internazionali non appare significativo ed è probabile una progressiva riallocazione dei portafogli verso l’Area della moneta comune.

Anche il Giappone offre valutazioni azionarie interessanti e policy-makers impegnati in azioni di supporto ciclico dell’economia e in programmi di riforme strutturali, miranti a migliorare il profilo di crescita nel lungo termine. In ambito obbligazionario, privilegiamo un’esposizione di duration contenuta e preferiamo i titoli di stato italiano a quelli “core”, tedeschi in particolare. I bond ad alto rendimento sia in Euro zona che in USA nella parte breve della curva offrono poi un profilo rischio rendimento interessante. Dal punto di vista strategico, manteniamo una sovraesposizione al dollaro, che continuerà ad apprezzarsi, sulla scia dell’inizio della lenta normalizzazione della politica monetaria. L’imminente azione della Fed rappresenta uno dei principali fattori di rischio, alla luce di attese di mercato per un ciclo di rialzo molto più blando dell’esperienza storica.

Storicamente, il primo rialzo della banca centrale americana è una validazione del buon contesto ciclico e non è causa di permanente perdita di valore dei mercati azionari, che, anzi, nei 12 mesi successivi tendono ad avere performance assolute in media a doppia cifra. Anche le obbligazioni ad alto rendimento hanno in generale un buon andamento e tendono a fare meglio dei bond “investment grade”. In generale, il petrolio accompagna in rialzo la dinamica “pro rischio”. A soffrire, sono prevalentemente le obbligazioni governative (non solo americane), anche se questa volta la divergenza fra una Fed in “dovish hike” e una BCE sempre più accomodante dovrebbe essere più protettiva per il reddito fisso periferico di Euro zona.

Tra gli altri rischi, permane il lento ribilanciamento degli squilibri cinesi, che dovrebbe condurre a una crescita del colosso orientale in lento assestamento verso un più basso potenziale. I Paesi emergenti in generale potrebbero poi essere posti sotto ulteriore pressione dal ciclo monetario americano, come recentemente accaduto nella primavera del 2013 e quest’estate, quando i mercati hanno iniziato a scontare l’inizio dell’uscita della Fed da “ZIRP”. A mitigare tale rischio concorre un già avvenuto significativo deprezzamento della valute di tali Paesi, in grado teoricamente di fungere da elemento di stabilizzazione dei flussi commerciali e dei movimenti dei capitali. Sullo sfondo resta il probabile cambiamento del regime di volatilità, esacerbato dalla cronica bassa liquidità dei mercati specialmente del credito, a causa anche delle penalizzanti nuove regole sui bilanci bancari, che disincentivano i “broker dealer” dall’offrire il loro bilancio come temporaneo parcheggio in caso di mancato veloce incontro fra domanda e offerta. 

In sintesi, un investitore dal profilo di rischio dinamico, in media in grado di sopportare una esposizione azionaria per metà del portafoglio, dovrebbe avere un sovrappeso azionario di una decina di punti percentuali, concentrati su Euro zona e Giappone a scapito di un sottopeso in USA. La duration ottimale complessiva di portafoglio dovrebbe assestarsi intorno a 2,5 anni, concentrata per la parte governativa sulla curva italiana e sul Treasury americano, con l’aggiunta di una quindicina di punti percentuali di High Yield, divisi fra area Euro e USA a breve.